su Terre d'acqua di Donatella Nardin
recensione di Fulvio Castellani pubblicata sul n. 4/2017 de Il salotto degli autori (trimestrale dell'Associazione Carta e penna di Torino)
E poi dicono che la poesia non è donna!
Leggendo questa nuova silloge di Donatella Nardin si ha la netta sensazione, e
la soddisfazione, di trovarsi a tu per tu con una persona che sa catturare a sé
ogni pulsione della quotidianità e tradurre in versi pregnanti la gioia del
dire, del raccontarsi, del guardare al di là del recinto in cui si trova a
vivere, a navigare sarebbe più esatto affermare in quanto vi si parla di terre
e di acqua.
L’opera che segue nel tempo altre due
raccolte poetiche (In attesa di cielo e Le ragioni dell’oro) vede in apertura una efficace nota critica di
Annalisa Ciampalini ( “il suo mondo è
forgiato dall’acqua e da questo elemento scaturiscono immagini di estrema
bellezza “) ed in chiusura da una corposa postfazione di Nazario Pardini, che
scrive, tra l’altro, che le quattro sezioni dell’opera – Radici, Cieli di voli e di assenze, Nutrimenti, Le parole per dirsi – “in un climax di
fattiva generosità esplorativa, scavano, perlustrano, scoprono e appuntano
momenti di una storia dai risvolti intimamente profondi”.
“Ogni giorno di più c’invera / il
cielo sopra Venezia”, dice ad un certo punto Donatella Nardin come a lasciare intendere che “l’amore in
questi luoghi è un vento, / prima viene, poi va e che, comunque, “spezza le
gemme il vento che, come / il tuo amore prima brama / e poi ripudia”.
È un gioco di immagini, dunque, a
marchiare di sé l’andamento lirico delle composizioni poetiche; un gioco ad
intarsio e al tempo stesso concatenante, effervescentemente legato alla
felicità di un incontro che si ripete e ritorna come l’acqua sulla spiaggia che
sembra quasi parlarci con i suoi spruzzi repentini, le sue incursioni
improvvise, i suoi intrallazzi sorridenti e carezzevoli.
Poesie che nutrono l’animo queste di
Donatella Nardin. Poesie che lasciano il segno per la loro franchezza
espressiva e dialogante. Poesie che ci avvicinano ad un mondo di luce e di
subitanei chiaroscuri mentre “scivola sulle labbra screpolate / del vento un
profumo intenso, / quasi ostinato di viole” e “resta un silenzio d’ombre /
che portano in bocca / la scabra bellezza di ciò / che non ha parole per dirsi…”
È l’amore, alla fine e all’inizio, a
scavare nell’Io della poetessa, a darle forza e certezze anche allorquando la
sabbia della clessidra scivola troppo in fretta nel vaso inferiore.
Come a dire che nella sua poesia vive
la poesia del saper vivere e del saper catturare a sé ogni e qualsiasi
sfumatura che racchiuda scampoli più o meno intensi d’amore e di dolcissimi
silenzi.
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