martedì 23 gennaio 2018

Versi/palafitta che indagano il mistero


Donatella Nardin, Terre d’acqua – FaraEditore 2017

recensione di Vincenzo D'Alessio


I concorsi poetici banditi dalle Edizioni Fara di Rimini conducono agli occhi dei lettori poeti e Poesia contemporanea pregna di ottimi indicatori culturali, sociali, i quali tracciano la strada della nuova Letteratura Italiana.
È il caso della raccolta della poeta Donatella Nardin, che reca il titolo Terre d’acqua, giunta al terzo posto tra quelle sottomesse alla Giuria del Concorso Pubblica noi 2017.
Quattro le sezioni che compongono la raccolta: “Radici” - “Cieli di voli e di assenze” - “Nutrimenti ” - “Le parole per dirsi”.
La nota dell’Autrice, posta all’inizio della raccolta, indica i luoghi reali che l’hanno ispirata. I versi, invece, ci conducono in un mondo di terre e di acque lontanissime dalla realtà.
L’essere poetico vive nello spazio scenico della Natura come contatto con l’Universo intero, in questo c’è il richiamo al poeta settecentesco Friedrich Hölderlin: lo spaesamento/l’altrove, invocato attraverso gli haiku, formano questa parte più difficile nell’interpretazione della poesia dell’Autrice: “Il campo brullo / apre gli occhi un bocciolo / non sa il suo tempo” (pag. 62).
La condizione del mistero dell’esistenza pervade tutte le composizioni. Il ritorno doloroso del passato tinge di grigio gli angoli del presente che avanza inesorabile. I luoghi e le cose, gli avvenimenti sociali, sono perfetti ed immutabili a scandire l’incedere del tempo.
Volendo utilizzare una similitudine, idonea ai luoghi dell’acqua scelti dell’Autrice, diremmo che ci troviamo di fronte ad una costruzione visibile in superficie ma con lunghi pali (palafitte) immersi nel fondo delle acque a sorreggerne il peso e la bellezza: “Guarda laggiù: lacero di gioia / volteggia un airone cinerino attorno / al suo ineffabile dove. / (…) Tutti insieme a fare un unico corpo / un solo entusiasmo, / una sola volontà / dietro i lini gigliati della laguna” (pag. 18).
Questa raccolta pulsa di una forza trattenuta per lunghi anni nelle acque della mente dalla Nardin: prepotente, incandescente, traboccante dai versi. Una forza compositiva che si avvale dell’enjambement, dell’anafora, delle sinestesie e di altre grazie retoriche per risarcire la parola dell’intera energia che la governa: “Oh sì, ogni giorno di più c’invera / il cielo sopra Venezia e c’è sempre / una parte di noi che nell’ineluttabile / suo s’immerge per farsi vertigine / vasta e silente” (pag. 31).
Trova spazio profondo la nostalgia, parola che ritroviamo in molte composizioni di questa raccolta, intesa non come ritorno ai luoghi e ai tempi vissuti, più propriamente la ricerca continua, perpetua, della risposta alla nostra aspirazione all’eternità: “(…) Come l’amore paziente, confidente / cerca per lui un fuoco di primavera / una qualsiasi forma, fosse pure / la ventosa malinconia di un dolce / tracollo nel diventare a sera / un tutt’uno con il mare, fosse pure / il desiderio profondo di stelle / o di noi la nostalgia che nell’universo / delle umane cose lo renda possibile / e ne alimenti l’impenetrabilità” (pag. 31).
Quante voci poetiche del nostro Novecento, appena trascorso, raccogliamo nella forza poetica dell’Autrice: c’è Montale (vedi Esterina, della poesia Falsetto citata in epigrafe a questa raccolta; oppure il dialetto lagunare del poeta Biagio Marin della poesia Rimpianto) – e altri poeti ancora.
Donatella Nardin li interpreta con la sua voce, con i suoi versi. La simbologia naturalistica, l’umanizzazione di animali e oggetti, conduce al senso impenetrabile del mistero delle stagioni, del nostro quotidiano divenire, che sfuggono alla volontà e ai nostri sensi, paragonato al cespuglio degli elicrisi arrampicati sugli scogli di fronte al mare che persistono lungamente all’ingiuria dei venti: “(…) E ricordi / e ricordi attinti da un’essenzialità / bisognosa. Dove prima non era, / nello sfarzo dei gialli fanali, divenne / sigillo la compenetrata parola, / porta di luce per tutto ciò che, / riaffermato, per sempre / rifulge di dentro” (pag. 66).
Completa questa raccolta la possente postfazione del poeta Nazario Pardini dal titolo: “Varcare il mare per scoprire l’altrove” che aggiunge maggiore vigore ai versi dell’Autrice.

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