recensione di Nicoletta Mari
I versi della raccolta Immagine convessa sono emblema di una interiorità inquieta e malinconica, in cui gli occhi diventano specchio dell’anima «Quante volte / ho tentato di amarti / ma non capivi / gli occhi, gli occhi / li hai guardati?» (p. 11). La poesia di Vincenzo D’Alessio risente della lezione pascoliana, sia nei temi che nello stile. L’odore della morte è costante «odore di mosto / odore di morte» (p. 45), così come il ricordo dei cari estinti «Dio del vento/riportami la voce/di mio figlio» (p. 38). Quella di D’Alessio è poesia del “sublime inferiore”. La musicalità del verso è resa dall’assenza di punteggiatura, dai frequenti enjambement, dalle anafore, dalle figure foniche dell’allitterazione «il turbine dei sogni / che volevano volare» (p. 37), dell’assonanza «nel tamburo del vento / batte controtempo» (p.48), della consonanza «l’odore si spande / nel coro di onde» e delle onomatopee «strilla / la campana nel borgo» (p. 14), «l’urlo della trebbiatrice» (p. 23), «il pigolio / alabastro del sole» (p. 65). Siamo dinanzi ad un linguaggio analogico, in chiave moderna, fatto di sinestesie «l’odore del grano» (p. 32) e analogie «gli occhi due stelle nel cielo» (p. 59). Il lessico è preciso e determinato, la natura è descritta con una nomenclatura specifica, l’autore canta «i gelsomini / l’edera / l’erba cedrina» (p. 13), «i cipressi immemori» (p. 15), «il melograno fiorito nell’orto» (p. 16) e il «rosmarino pungente» (p. 43). Nei versi è ricorrente l’immagine della luna, simbolo di leggerezza, reazione al peso di vivere «veglia di Pasqua / dorme la luna» e le «lune lontane» (p. 31) rimandano ai malinconici notturni di tassiana memoria, ove la malinconia non è altro che una tristezza diventata leggera. Da una arcana inquietudine emerge un animo combattente, una profonda passionalità che induce il poeta ad affermare «il sibilo della fiamma / è la mia anima» (p. 26).
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