"In più di una poesia gli elementi esterni sono presi da un movimento continuo, rapido: “vedo il ponte e la
rincorsa / il salto e l’aria / mi percorre”, “luci che corrono / dritte”, “eco che nell’aria corre”, “entra vento”, “clorofilla al vento / vieni via”, “l’ombra e la luce nell’erba / si rincorrono”, “il tempo / sta precipitando”.
È evidente la frequenza del “correre”, che pervade febbrilmente tutto ciò che è esterno al Lamberti; tale reiterazione sembra quasi incorniciarlo in una posizione alienata di
osservazione, quasi irrequieta, confermata qui e lì da qualche suggestione di immobilità: “smettetela di correre”, si lascia sfuggire in “Leucosia”, e ancora, in “Sogno di gravità”: “Mi viene voglia / di svenire / in cima alle scale / rotolare / fermo / su marmo”, dove l’aspirazione al dinamismo è assolutamente astratta nella dimensione del sogno, quasi a confliggere con una realtà statica, di immobilismo.
Il Lamberti sembra riconoscersi in una tensione alla lentezza e alla staticità, in un mondo, che lo circonda, che invece non smette di muoversi convulsamente, quasi senza aspettarlo, senza rispettare i suoi tempi: “sappi che amo i silenzi”, dice, e ancora: “Non posso muovermi”, “Cammino lento”, “Prova a muoverti ora”.

Il risultato di tale procedimento è una convergenza dell’uomo e dei fenomeni naturali, che crea uno strano rapporto tra uomini e cose, dove le seconde, umanizzate, sembrano quasi più affettuose e sensibili dei primi, che sembrano cercare conforto dal proprio stato di afflizione: “Mentre l’alba si riposa / a guance strette su di me / … / la notte l’attende / con un canto”, “le mani cingono / spalle tremolanti”, “mentre urlo / nel guard-rail / mi scompongo”, “Mi guarda / leopardo / un mattino blu scuro d’ambizione”."
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