Prova del nove, Ladolfi 2015
recensione di AR
Come Renato Serra e
come suggerisce lo stesso Carracchia nel saggio-postfazione “Educare al
silenzio. O Del cloroformio”, anch’io
«… fantastico una critica che non sia soprattutto uno studio di opere, ma uno studio con opere» (p. 219). Credo che una nota critica debba
risultare da una immersione nel testo che si ha di fronte, che un critico debba
“reagire” alle parole di un autore a partire dal proprio vissuto, dalla propria
formazione culturale, in una parola, dalla propria antropologia, mettendola a
confronto con quella suggerita, evocata, palese o implicita nell’opera. Il
dialogo ha bisogno di creare una tensione “equilibrata” (l’autore parla di argillosità, cfr. p. 225) fra due
poli/interlocutori, altrimenti si appiattisce o sul testo o su chi lo
interpreta e risulta inficiato.
Io non sono un
critico, ma quando scrivo qualche riga su altri cerco di attenermi a questo
approccio, di ascoltare e di ascoltarmi, di pro-vocare un’opera mettendo
appunto in gioco quanto evoca in me. Questo sa fare, con grande empatia e
sensibilità, Vincenzo D’Alessio, ad esempio, poeta e critico dallo sguardo
terso e acuto: con umiltà, lavorando ai margini e un po’ defilato (come
l’Autore stesso di questa raccolta ammette di desiderare), offre sempre chiavi
di lettura rivelatrici.
La prova del nove è un libro importante. Per Carracchia segna
il raggiungimento di una maturità espressiva articolata e corposa che non teme
di esporsi (agostinianamente, di “confessarsi”) anche se conosce le insidie di
pubblicarsi: «Più l’apparato mediatico obbliga alla presenza, fornendo trucco e parrucco, più si fa forte l’attrattiva,
o necessità della latitanza» (ivi).
Questa esposizione
mantiene dunque sobrietà e nitore, onestà e pregnanza, responsabilità e
rispetto: tratti che da sempre caratterizzano la poetica di Giuseppe. Già, come
possiamo connotare, se non definire, il suo “messaggio”, la sua missione (visto
che comunque un forte intento etico è presente)?
Qui è il lettore
che viene messo alla prova. Propongo di seguito alcuni (invero sporadici fra i
tantissimi) passaggi che mi hanno immediatamente emozionato, ogni tanto
commentandoli di corsa, lasciando a ciascuno la libertà/responsabilità di
emendare, tralasciare, condividere, eludere queste mie annotazioni senz’altro
parziali e modeste, ma sincere. Il libro è composto di otto sezioni indicate in
carattere grassetto maiuscolo. Le più ampie sono a volte suddivise in
sottosezioni indicate fra parentesi in grassetto minuscolo.
C14
(ovvero carbonio 14) si apre significativamente con la poesia Imperfetta (Appunto dell’alpinista; The North Face) e porta la dedica A te, che temi il vuoto (del resto la
poesia si libra sull’informe e lo informa): «Quanto è tremendo tutto questo,
chiedi. // Dai labirinti si esce sempre, è storia: / sfondare muri, imparare /
a volare, scavalcare, cercare / pazientemente porte / disseminate qua e là,
nascoste. // (…) Senza la paura saremmo stupidi, /cercaci il coraggio dentro /
di traverso se ne necessario aggrappati. / Se dici che le mani si aprono,
menti: / le mani non dicono di aprirsi.» (p. 11)
MOTI E RIVOLUZIONI – dalla poesia eponima contenuta nella
breve sottosezione (disappunto del
giardiniere): «(…) il giorno solare / non equivale ad una rotazione
siderale / che conclude ogni suo viaggio / e lo ripete ventitré ore /
cinquantasei minuti e quattro secondi; // ovunque tu guardi, sempre / ti
avanzeranno due tre minuti / quasi quattro, per allacciarti le scarpe / e
vedere che al tuo fianco / o incastrato nel laccio / c’è un altro.» (p. 24)
Da L’adeguato, in (dittico dell’incendio): «(…) donaci, / un’illogica caduta a
precipizio / che depisti in principio la tristezza / e nel frattempo
inaspettatamente / ruotaci le carte geografiche, rovescia / il mappamondo ché
la caduta / verso l’alto sia, imprevedibile svista.» (p. 29). Chi è l’interlocutore sottinteso?
Da Il verbo infinito II (p. 32): «(…) tutto
// ciò che può condurre / conduce noi ad un un’unica parola / e non è l’amore,
sappilo, non / l’idea conchiusa, ma l’amare / la transitività del verbo idea / pronunciata – parola schiusa. //
E poi l’uscita dalla idea / e l’entrata nella vita.»
In fondo l’unico
verbo infinitamente aperto, attivo, abbracciante come un angolo giro è appunto amare.
APPUNTI DALL’ORTO – dai versi in esergo (p. 39): «Entrando nel bosco, la luce / diventa più
vera e non perché rara; / (…) / perché non sia solo istinto d’idea / o abbozzo
di perdizione o salvezza / ma la vera lucente.»
La luce ci prova (in tutti i sensi). Nel
III movimento de L’attitudine del bambù
(p. 52) troviamo scritto: «(…) questa / miracolosa luce rinsalda / il reale
all’ideale, circoscrive / l’orlo degli accadimenti: una / proporzione topografica
/ l’inquadratura del tuo respiro.»
Per me è evidente
che questa luce è bellezza e bontà, ma anche verità… non fa sconti, né si può
sfuggirle.
Da Alberi (pp. 40 e 41): «(…) / siamo
talmente presi d’assalto / che vediamo solo il piatto / delle cose, l’inodore,
l’inesatto / il banale (…) / (…) sono le cose a dirci la loro semplicità /
rinnovandoci) // (…) // (laddove capire equivale / a interpretare tracce, una
pietra / fuori posto ad esempio / o una ghianda schiacciata) // – distinguendo
la solitudine / dall’isolamento, il raccoglimento / dall’abbandono – (…)»
Anche in questi
versi è in corso un dialogo con un progressivo avvicinamento a una verità da
condividere.
PRESOCRATICA – da Chironomia
(p. 64): «(…) / volevo vederti / nuda, ch’è diverso / da denudarti, persino /
diverso da vederti).»
Amare è
impegnativo, a volte neppure gratificante, anzi. Ma se non coniughiamo in
qualche modo questo verbo, siamo già morti e provochiamo morte.
DALL’UNO ALL’ALTRO – da La
furbizia del ginnasta (p. 75):
«Questo ci preme dirvi: sappiamo / le paure (in questo siamo bravi); / che i
nomi ci rendono vulnerabili, / ci espongono, / e ci sta bene.»
Da Quadratura del dubbio II (p. 81): «(…)
Per il resto / vorrei solo che l’intelligenza / si facesse più acuta,
tagliente: / imparare a dire con meno parole / ciò ch’è d’obbligo / e il resto
averlo già dimenticato. / Con più esatte parole seminare / l’attenzione tra i
giusti / e il panico tra gli altri.»
Una dichiarazione
di poetica da sottoscrivere: ritengo che chi scrive poesie abbia una grande
responsabilità, per certi versi anche
politica.
GEOGRAFIE DELLA RICERCA – dai versi in esergo (p. 119): «(…) / lo sbaglio che in tutto / e per
tutto credevi // t’avesse
distrutto. Ci insegna / per sbaglio la storia: amare /del tutto // ancor più
che serbare / memoria.»
Da Una poesia vuota. O ‘Della regola’ (p.
135): «(…) / ma il silenzio non si addice / alle norme false, e se falsifica /
decade fuori di sé, divenendo / un motivetto orecchiabile.»
Anche la poesia
nasce dal silenzio vero, altrimenti è tutt’al più un’arietta assai cantabile.
Da Sul semplice. O ‘Dell’inverso’ (p. 148):
«Così ogni corpo cela sé stesso, / ogni corpo rivela / l’inverso di ciò che non
è.»
Il corpo ci espone,
ci dice e dice agli altri quel che siamo. Tiene traccia di noi.
GENEALOGIA DELLE DISTRAZIONI – da Non
poesia. O ‘Della concentrazione’ (p. 175): «(…) // Il medioevo è in me
quest’idea: l’osservazione, / l’esattezza; non importa se in difetto. /
Attenzione implica attesa; l’attesa pazienza. / Pazienza, capacità di
osservazione. Questa, precisione.»
Da L’educazione dei principianti II (p.
183): «(…) / penso appena prima / d’accedere allo spazio / di totale pace:
“istruirsi a fare / quelle due tre cose bene (che poi /equivale a fare il
bene)”.»
Da Prova del nove II (p. 187): «E infine,
questa poesia andrà in giro / sorridendo agli sconosciuti, / ed è come se noi, io
e te / e tutti gli altri, camminassimo / presi per mano, (…)»
Da Geografia della ricerca III (p. 190):
«Come l’ala che fende e resta / sospesa nell’aria, / molto possiamo imparare /
dall’aeronautica, / un semplice pensiero salvifico: / leggerezza è conquista /
di chi porta ancora / un suo peso specifico.»
SPEGNENDO IL LUME – da Due
punti (p. 202): «“(…)// siamo qua, tu
mi stringi / la mano e non so bene / neanche il tuo nome. Eccoci / qui, a
interrogarci sotto / il grande ulivo. Voltiamoci / in silenzio, chiediamo a
lui”»
Come si può bene
vedere dalle titolazioni e dai minimi lacerti qui sopra riportati, La prova del nove è davvero un opus magnum ricco di riferimenti
impliciti ed espliciti alla Bibbia, all’Estremo Oriente, a filosofi, critici,
poeti, scienziati, mistici, scrittori, artisti … ma sempre a partire dalla vita
di chi l’ha scritto, dalle sue emozioni a tutto campo, dai suoi “scontri” con
la realtà affettiva e lavorativa, dalle sue ferite e dalle sue conquiste. Un
libro da leggere e rileggere per assaporarne le infinite sfumature, i dettagli
preziosi e nascosti. Un’opera quindi che richiede una certa fatica, da
assimilare a poco a poco ma dona subito, anche a una prima cursoria lettura
come questa, fuochi di gioia, ombre da accarezzare e far nostre, suggestioni
esistenziali e questioni etiche che ci mantengono attenti, attivi, propositivi:
«A un giro di boa dalle tue contraddizioni / il ritorno dell’irrisolto richiede
/ che s’osservi al fondo delle cose / guardando attentamente / (…) // Vedrai /
allora, l’inimmaginabile amore. / E toccherà avere attraversato / la cecità,
conoscere il freddo / spinato di certe stazioni, addormentarsi / in alto nel
punto più alto dove la luce / devia, svirgola / originando un nuovo percorso /
nello spazio, un nuovo astro» (p. 193).
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