recensioni di Giuliano Papini
Bruno Bartoletti
Soc.Ed. Il Ponte
Vecchio 2005
Il
Brigliadori nell’introduzione ha evidenziato numerosi debiti del Bartoletti nei
confronti dei poeti a lui cari, dal Pascoli ai contemporanei. Questo non
stupisce. Il Bartoletti è poeta cólto e ha letto molto e molto meditato e
assimilato. La sua ricerca stilistica ha guardato di preferenza agli Ermetici,
che egli ha assunto a suo modello, non sempre con risultati convincenti. Ermetismo non significa oscurità ad
ogni costo, ma creazione di nuovi impasti di parole che, per quanto difficili,
lasciano comprendere il significato dell’espressione e trasparire le immagini.
Bisogna però stare attenti che l’ermetico non si muti in enigmatico, altrimenti
il poeta non viene inteso e fallisce dinanzi ai lettori. Per esempio, quando il
Bartoletti dice
Sull’uscio
una foglia di tenebra
cade
e dai campi un suono di pioggia
ritorna
a grappoli nuovi
tutto
è bene interpretabile e gustabile
nell’originalità dell’impasto verbale
(da Paese di antiche memorie),
ma
quando scrive
La
gora rimescola i giorni
sospesi
a una pendola bianca
tra
occhi di melograno,
fessure
tagliate di luce.
si
screpola il gesto nel lento
naufragio
dell’ora
(da Attesa lunare)
il
testo è assolutamente oscuro e incomprensibile e ci offre piuttosto un
assemblaggio di frammenti rigo per rigo che un organico squarcio lirico di
risolta compiutezza, facendoci perfino dubitare della nostra capacità d’intendere.
Qui il desiderio di emulare e superare gli Ermetici ha tradito il poeta. Ma per
fortuna questi “buchi neri” sono
piuttosto rari tra lo stellato delle sue pagine. Proviamo a leggere un’intera
lirica, Incredula presenza, interpretandone il significato e analizzandone l’espressione.
La situazione è questa: è sera, una sera grigia, piovosa, che riflette nell’anima
stanca del poeta la sua tristezza.
Spiove
la luce al dormiveglia del mio cuore
di
una sera che sfinisce di tristezza
e
lascia profumi di pioggia
dove
il “dormiveglia del mio cuore” è immagine suggestiva della malinconia abulica e
sonnolenta. L’attimo presente è rapito dal vento che soffia fuori, anch’esso
pigro e stanco, simbolo forse del fluire del tempo, e le memorie emergono dalle
nebbie del passato. Il poeta rivede la figura di una donna, probabilmente la
madre scomparsa, quando veniva nella sua stanza, pallida e affranta, e si
sedeva con lui e gli diceva parole presaghe di morte.
… posavi
le tue mani
di
cera sul bracciolo e mi guardavi
con
un mesto sorriso.
Qui
l’impasto ermetico è di facile decifrazione, e gli occhi velati e infossati
della visitatrice spirano già sentore di tomba.
La
seconda parte è di lettura più difficile, ma intelligibile. Il poeta ode nelle
strade rumori di carri transitanti. Le strade sono “aggrovigliate” in numerosi
crocicchi, i selciati sono “macinati” dalle pesanti ruote: il verbo, di forte
accezione, rende con efficace iperbole lo sgretolarsi delle pietre. Il pensiero
dell’incerto futuro “ferisce”, ossia tormenta, il poeta e
imprime nel suo animo, pronto ad accoglierli, segni, cioè parole, balenanti un
senso tenebroso, i “riverberi cupi” disegnati sulla “parete bianca” del cuore (il bianco è il colore della
intemerata verginità). Lui, nel silenzio disceso tutt’intorno, si sente voltato ad esse. Quelle parole
imperiose lo spingono
come mani giganti
a
ricercare perdite di spazi e giorni
macerati
di silenzi
cioè,
come direbbe Proust, alla ricerca del tempo perduto, disfatto nel silenzio
delle cose annientate.
Chiediamo
venia al lettore se questa interpretazione gli appare troppo sofisticata, ma
altro non abbiamo saputo fornire: a lui formulare la sua. Del resto, proprio
questo è tipico della poesia ermetica prestarsi, come un prisma, a mille
diffrazioni. Dopo la lunga professione di nostalgia, il poeta torna al
leitmotiv della donna dolente, tesa ad ascoltare “il battito dei giorni”, quasi
rintocchi di una gigantesca pendola palpitante a scandire il ritmo del tempo
fuggitivo. Il suo povero volto è coperto dalle “lacrime come pioggia” sparse
dal vento. Il poeta, rimasto muto e incredulo della reale presenza di quel
fantasma, ha navigato avanti nella vita verso le “scogliere grigie degli anni”
ossia verso il grigiore della vecchiaia irta di duri ostacoli e pericoli. Una
lirica densa, eppure aperta alla comprensione, bene architettata nelle sue
parti, musicalmente arricchita dall’uso del motivo dominante, dipinta dei
colori tipici dell’autore, idonea quindi ad essere assunta a campione della sua
arte.
Il
Bartoletti è ricco di delicato sentimento, non di passioni forti, un crepuscolare
che ama l’ombra, la penombra, la sera e la notte. Il tono prevalente è la
malinconia, nostalgia di persone e di cose perdute, rimpianti, ritorni al
passato fuggito per sempre. L’influsso dell’amato Pascoli è indubbio. Un caro
poeta, dunque, sincero e vibrante. Nel campo della musica gli potremmo
accostare lo Chopin dei Notturni o il Debussy più sommesso e prezioso. Il ritmo
è ineguale: a versi perfetti di cadenze si alternano improvvisi sbalzi con un
effetto di rottura non si sa se voluto o meno. Si potrebbe pensare che il
Bartoletti, dotato di ottimo “orecchio”, abbia deciso di sottolineare con tali
sprezzature la sua assoluta indipendenza da schemi e leggi metriche e
rivendicare al poeta una piena
libertà di andamenti.
* * *
Bruno
Bartoletti
Youcanprint
Self-Publishing 2012
Questo
secondo libro è stato edito sette anni più tardi e presenta un notevole stacco
stilistico. Non più ultraenigmatici groppi di oscure parole e molto temperato e
alleggerito ciò che rimane dell’Ermetismo. C’è un ritorno alla chiarezza
classica dell’espressione, la frase perde in densità e peso e scivola via
fluente e sciolta, talora in ritmi metrici vari di versi, talora come prosa
cadenzata, sempre perspicua e trasparente. Nuova è la disposizione delle
poesie, di cui molte senza titolo, che l’autore non colloca singolarmente
isolate, ma raggruppate in sezioni, così da formare come lunghi capitoli di un’ideale
storia della sua anima, un’interiore
autobiografia, quasi diario del proprio divenire avanzando nel tempo. I temi
dominanti sono sempre gli stessi, nostalgia del passato, rimpianto per le
persone e le cose perdute, sgomento per il futuro ormai breve, sentimento di
decadenza e presentimento di morte. I colori non sono mutati: penombre, atmosfere grigie e cupe, notturni silenzi lunari. S’incontrano belle e
originali immagini, delle quali piace citare qualcuna indicando la pagina dove
trovarla.
“Alabastri
di luce” sono le figure delle donne biancovestite che sfilano nella visione di
una processione funebre (13)
L’ultimo
avventore che lascia il bar alla chiusura “ha il passo malinconico del silenzio”
(18)
Lo
specchio del poeta ultrasessantenne, quando egli vi osserva il suo volto, “dipana
segnali di autunno” (22)
“Il
silenzio è una parola vuota” (29)
“Un
vento sibillino soffia sulla terra” (29)
Nella
camera buia “un raggio di luna che filtra dà un segno/di luce sottile, un esile
filo che rompe/il silenzio dell’aria”
(39)
Nel
cimitero del paese “il campo suonava canzoni di vecchi ritorni” (47)
Al
poeta sembra vedere ombre di morti che passano e “ciascuno di terra ha la
fronte” (48)
Sulle
croci del cimitero il convolvolo “si attacca come un ultimo grido” (49)
A
sera “è un cupo addormentarsi/in una luce bianca di rimpianti (53).
Potremmo
continuare, ma il lettore troverà da sé altre perle e le ammirerà con giusta
lode. La morte occupa un posto di primo piano in questa raccolta. Il poeta ne
ha un sentimento costante, quasi incalzante. Nomi di amici scomparsi, tombe,
ultimi addii quasi ad ogni voltar di pagina. L’idea della morte si accompagna
all’idea della vecchiaia, sua anticamera, che il Bartoletti soffre, tormentato
da immagini di decadimento e d’insufficienza. Anche la Musa tace per lunghi
giorni, come compartecipe della sua sfiducia nelle proprie forze. Ma poi il
sopito demone si ridesta e il poeta riprende il suo canto. Quale è il giudizio
del critico su questa ultima maniera del Bartoletti? Sinceramente, mentre piace
la limpidità del nuovo dettato, si rimpiangono un po’ certe tinte più moderne de
“Il tempo dell’attesa”, quei coloriti impasti di parole dal sapore ermetico qui
quasi del tutto accantonati. Inoltre, non manca il rischio della banalità
espressiva sempre in agguato, dal quale pure il poeta si difende molto bene.
Tutto sommato, questo nuovo libro conferma le doti dell’autore, delicatezza di
stati d’animo, umbratile e nostalgica fantasia, sincerità di sentimenti,
assidua, sorvegliata ricerca di rinnovamenti stilistici. A lui auguriamo una
lunga stagione creativa e molti meritati successi.
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