recensione di AR a:
Caterina Camporesi, Muove il dove, Raffaelli Editore 2015
Come osserva nella
bellissima, perspicua ed esaustiva Prefazione (p. 13) Anna Maria Tamburini “il
dove” può essere interpretato come soggetto (ovvero la dimensione dello spazio-tempo che ci è dato di vivere – la nostra condizione umana – è anche
quella del movimento, della trasformazione: “il dove muove”). Credo che ciò sia
vero, ma penso anche che “il dove” possa essere interpretato come oggetto: l’uomo,
per non restare materia inerte, per diventare persona, è necessario che sia
“animato” (per chi crede, da Dio, come ci racconta con straordinarie immagini
la Genesi), che entri in relazioni con gli altri e con l’ambiente in un
continuo processo conoscitivo di sé che è scambievolmente utile agli altri,
perché ciascuno possa crescere, esprimere le proprie capacità, muoversi (se non
sempre fisicamente, certo mentalmente) e pure com-muoversi. Interpretato “il dove” in
questo senso, come complemento oggetto, il verbo “muove” ha un soggetto
sottinteso, inespresso, indefinito: “qualcosa/qualcuno” muove il dove, cioè
anima la nostra materia, dà respiro, anzi rende possibile lo svolgimento della
nostra storia individuale e sociale, amplia gli orizzonti del qui-ed-ora, mette
in comunicazione gli esseri umani, li “movimenta” perché possano interagire
fisicamente, empaticamente, mentalmente (si pensi solo alla funzione del linguaggio).
Tale soggetto
implicito è per me il focus di questa raccolta; un focus ineffabile, nascosto,
intangibile eppure efficace e inestinguibile come il fuoco del roveto di cui ci
parla Esodo 3,2. C’è bisogno di un
senso fuori dal mondo, come ben ricorda a p. 14 la prefatrice commentando con
parole del Tractatus l’esergo wittgensteiniano
scelto da Caterina Camporesi – Impossibile
scrivere in maniera più vera di quanto si è veri – e chiedendosi se in
queste poesie non si celi “una verità capace di oltrepassare l’autore” (p. 15.),
dato che, pur partendo da una prospettiva senz’altro laica: “L’autrice non
esclude l’oltre, anzi ne scruta i segni” (p. 14). Anche Gianni Criveller, in
Postfazione, scrive: “La meta del cammino segnato dalla parola poetica non è
facilmente disponibile e richiede la fatica del cercare. Tuttavia la parola
poetica non è uno specchio narcisistico, non è ripiegata su sé stessa. C’è un
altrove, muove il dove nell’altrove,
che nelle ultime poesie prende spesso il nome di luce e di attesa” (p. 75).
Lo stile poetico di
Caterina è caratterizzato da un uso sapiente delle polarità, della tensione (a
volte faticosa e dolorosa, altre volte gioiosa e rigenerante) fra reale e
ideale, carne e spirito, vero (la parola “verità” è ricorrente) e falso,
transitorietà e permanenza… quelle opposizioni yin/yang che in poesia danno
vita alla figura retorica dell’ossimoro, così presente in questa come nelle
precedenti raccolte e che, dal punto di vista fonosimbolico, portano a una
scelta oculata e altamente espressiva dei suoni, alternando consonante rullate
e aspre ad altre più dolci e nasali, e le vocali alte (e, i) alle vocali più
scure (a, o, u). Consideriamo la poesia a p. 23:
sprigiona folgoranti lampi
il buio a lungo sigillato
strinando arcaici ieri
dona al domani sentieri
Notiamo nel primo e nel terzo verso la presenza delle
liquide l/r e della s seguita da occlusiva (p/t) che esprimono energia e dinamismo, alternata a quella delle più tranquille e riposanti nasali m/n, mentre da una vocale alta
come i si scende alle vocali basse a/o per risalire con un saliscendi i-a/e-i a
fine verso. Abbiamo poi nel primo distico un doppio ossimoro incrociato: la
prima parola “sprigiona” si oppone all’ultima “sigillato”, mentre l’ultima
parola del primo verso “lampi” è in contrasto ossimorico con “il buio”
all’inizio del verso seguente.
Le parole in rima
“ieri” e “sentieri” possono anch’esse essere considerate un ossimoro in quanto
lo ieri è rivolto al passato, mentre il sostantivo “sentieri”, essendo preceduto
dall’avverbio “domani” indica un
cammino verso mete future.
Per Caterina la
poesia ha in sé una “impaziente” energia diffusiva. Già i versi che aprono la
raccolta (p. 22) ci offrono importanti concetti-chiave e una forma con le
caratteristiche tensioni polari di cui abbiamo detto: le parole scandiscono e
al contempo si ancorano, diventano segnali utili a chi li scorgerà e ne vorrà
condividere l’interpretazione “da bocca a bocca” con le persone che, per tratti più
o meno lunghi di cammino, ci accompagnano:
in scansioni ormeggiano parole
all’èrta del cenno che le riveli
traslocano da bocca a bocca
impazienti di impastarsi
Il “canto” poetico
può reggere la lotta con il nulla, incrociare il vuoto e fecondarlo (p. 24):
non perde smalto il canto
lungo strade deserte
se incrocia ciò che manca
Gli eventi che
compongono il nostro vissuto si coagulano nel nucleo fondante eppure sfuggente del
nostro io: una casa-culla in cui il tempo si contra e si rigenera (p. 25):
amalgamando attese sogni intenti
la storia si accasa sui fondali dell’io
(…)
Se a volte traspare
un pessimismo cosmico (“non quello che si dice / neppure quel che si fa // – dispera
ciò che si è –”, p. 29), c’è comunque la fiducia in un agire impegnato e
attento (“essere è parola / che all’azione spinge // silenzio”, p. 71, la
poesia di commiato che ha quindi un peso specifico particolarmente importante), in una ricerca di sé “là dove non si è” (p. 37) che è un esodare da sé stessi per
aprirsi al dialogo, alla condivisione, allo scambio, attraverso il corpo e
l’anima, di emozioni (“non perde colore il suono / sul pentagramma // se in
emozione-voce si fonde”, p. 45) e
conoscenze (“smarrite preghiere tornano / lungo brividi indugiano // stanano il
vocabolo / che rivela l’oracolo”, p. 47).
La vita è comunque
lo spazio della fatica (“da abissi di corpomente / si risolleva il pensiero”,
p. 57), il tempo della lotta fra bene e male (“bastano due sulla terra / per
fare una guerra”, p. 65), il cammino fatto di deviazioni e sconfitte (“a pochi
s’aprono varchi”, p. 60) che però ci forgiano e ci mettono sulla soglia del
nulla “dove la ragione capitola” (p. 36), una soglia che può essere però anche ponte a un
misterioso e affascinante altrove in
cui “non si brucia l’essenza / che satura l’insistenza” (p. 48). Consideriamo
la poesia a p. 49 che così bene ci descrive il divenire sfolgorante dell’essere
attraverso la non facile scelta dei sentieri:
per serpeggianti sentieri
si forgia il divenire
nell’essere si sfolgora
e nel tutto si dilegua
Un libro di vera
poesia, di grande intensità, ricco di umanità, conoscenza (“si placa l’irruenza
/ nella sapienza”, p. 61) e di amore per quanto di bello questo nostro mondo ci
può offrire se solo diventiamo noi stessi più umani, più attenti, più
disponibili e aperti all’incontro. Una poesia rigenerante, della rinascita, che
suscita nel lettore/ascoltatore le energie migliori. Del resto l’area semantica
del verbo suscitare è quella che comprende verbi come citare, re-citare,
ec-citare, risus-citare… che derivano tutti dal latino citāre, ovvero “smuovere, far muovere, richiamare”: vediamo dunque come
ritorni il titolo Muove il dove.
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