domenica 24 agosto 2014

Il sonno immortale dei poeti

di Vincenzo D'Alessio

 Pasquale Martiniello (secondo a dx a partire da Vincenzo D'Alessio, in piedi,  il primo è Carmine Manzi) durante la cerimonia di premiazione a Solofra nella Biblioteca Civica "Renato Serra" il 6 giugno 1992 della IX Edizione del Premio Nazionale Biennale di Poesia "Città di Solofra"

I momenti epocali della Storia degli uomini sovente vengono vissuti inconsapevolmente dai protagonisti presi dalla passione di portare a termine gli ideali, il sogno, quello di una umanità non sconfitta dal divario sociale, caro a Martin Luther King. Per un giorno, il 13 aprile 1997, un modesto centro dell’Irpinia ha vissuto un evento epocale: la lettura e la sottoscrizione del primo Manifesto dei poeti irpini. Il luogo oggi è stato assunto a “Centro del mondo” e ha generato una sequenza di manifestazioni poetiche sostenute dall’infaticabile Domenico Cipriano.

Nella piccola sala consiliare quel giorno erano presenti molti autori contemporanei, antologizzati dall’instancabile critico Paolo Saggese nella sua Storia della Poesia Irpina, brillava l’astro fulgido del prolifico poeta Pasquale Martiniello: nato nel 1928 e scomparso il 24 febbraio 2010. Egli non sottoscrisse il “Manifesto dei poeti irpini” poiché era citato in qualità di caposcuola ma i suoi occhi brillarono mentre chi leggeva intonava i suoi versi: “Noi usciamo dal collo / dello stivale / il duro Sud / l’Egitto degli ebrei / un ghetto di coloni e braccianti / che hanno abbrancato secoli / di ceneri / e mietuto spighe di elemosina.”

Martiniello come poeta in vita è stato pluripremiato dall’estremo Sud alle vette del Nord raggiungendo primati che l’hanno fatto amare come uomo e come poeta. Un uomo tanto diverso nel panorama irpino perché portatore di quel sogno che nelle sue raccolte affiora ruggente, necessario per sé e per gli altri: “(…) Tu non sai il fuoco inquieto / della rosa solitaria / al petto della giovinezza senza debiti / di tempo. (…) / Non ho risposte ai 'se', sparsi chiodi / nelle pause della penna. / Così la certezza ereditata senza radici / non è più un granito. Forse è il laccio / d’oro falso, teso dall’abisso; forse / è solo il finto sogno d’un sorriso, / rifratto un mattino negli anfratti / della memoria da ridenti parrucche / di ciliegi. (Radici di luce, Premio Monferrato, 1989).

Questo immenso patrimonio morale della sua poesia è testimoniato dai critici letterari come Giorgio Barberi Squarotti, R. Cammarata, F. D’Episcopo, G. D’Errico, G. Giacalone, V. Napolillo, G. Pampallona, G. Panzani, U.Piscopo, A. Quasimodo, L. Reina, A. Scarpa, A. Vegliante e altri. Tra questi merita voce Paolo Saggese nel suo Addio Pasquale Martiniello apparso il giorno successivo alla scomparsa del poeta: “Pasquale Martiniello era infatti un Poeta vero, perché era innanzitutto un Uomo vero, un uomo che sapeva guardare negli occhi la realtà, senza finzioni, senza ipocrisie, con realismo e con passione, con intelligenza e amore, e sapeva indicare la strada, sapeva comprendere gli altri, perché conosceva gli uomini, e sapeva comprenderli ed amarli” (in Comunità provvisoria).

L’Irpinia ha terra dura da lavorare e necessita di grandi sacrifici per ottenere i frutti che le fredde Primavere promettono. Quell’aprile del 1997 segnò una semina di poeti che nel corso delle stagioni successive sono germogliati grazie all’esempio di coloro che li hanno preceduti e oggi vivono nel sonno immortale dei poeti.

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