mercoledì 12 giugno 2013

C’è sempre un’alba per incominciare il viaggio: sul Fruscio di Angela Caccia

recensione di Maria Raffaella Rossi dal blog Nuance – Parole in libertà (v. anche ilciottolo.blogspot.it)






Grazia e disgrazia della poesia 



Nelfruscio feroce degli ulivi, un titolo che ha il sapore del tradimento se pensiamo al Getsemani, dove il Cristo fu tradito. Feroce come inizio, rapidissimo, spiazzante ma procreatore di vita o nuova vita. Il poeta sa che dal disumano potrebbe nascere l’umano e Angela Caccia è consapevole che, oltre lo spazio, oltre il tempo e al di là di quel sepolcro vuoto comincia la vita. Quello che viviamo non è altro che un passaggio, un fodero come direbbe Angela, che annuncia qualcosa di più reale: «la sintesi di esseri uomini / è la morte / e tu l’avrai varcata con pudore / a mani alzate» è quanto scrive in un poema della raccolta.

L’autrice introduce con un Incipit, quasi ad aprire un libro sacro che racconterà atti e miracoli della poesia. Cita il monte Tabor, il luogo della visione, dove si annuncia il preludio della cruenta morte di Cristo. Come la trasfigurazione sul monte, fu il preavviso della resurrezione e gloria del Salvatore, principio della sua morte saranno le parole scritte sul foglio bianco. Angela utilizza ripetutamente queste note di fede o visioni: chi meglio di Maria può darci l’idea della donna che accetta un dono e si chiede se «sarà grazia o colpa»; il lettore entra con questi mezzi nelle rughe del poeta, riuscendo a cogliere l’atto di fede che Angela compie nei confronti della poesia, perché lei crede in essa e accetta il dono della scrittura, pur quando le provoca l’amarezza dell’ascolto. «Utero e ossario di parole» definisce il foglio bianco, l’autrice è conscia che le parole generano e rinnovano ma conosce bene la crudeltà dei versi, i quali spifferano gli abissi di un IO che la penna profana.

«Mistero e maledizione / infermeria del pensare e del ripensare» definisce la sua poesia: nel luogo in cui Angela «tradisce», ignara, il suo IO (nel fruscio feroce di ulivi) comincia la sua passione, il suo vedersi «un ciottolo assetato di sale» che solo nell’abisso del mare trova il nucleo. L’autrice, pur nella centralità di se stessa, sente di vivere «la periferia»; fuori dalle ricerche che percorre sul proprio essere, perde le distanze dalla realtà. La poesia di Angela, dunque, è tutto un susseguirsi di ritmi calzanti, lampi di luce, tenebre e spiragli di speranza, perché ad essa si aggrappa il poeta. Dopo la notte, «l’ora solenne», c’è sempre un’alba per incominciare il viaggio, il nuovo viaggio paradossale. La poesia stana l’anima, le permette di gridare, per sfuggire a quel dolore afono che scomparirà solo quando il poeta avrà varcato «la linea di confine / alla dogana si peserà il valore / così faticato sulla terra / darà cittadinanza al suo latore (…)».

Giunta finalmente l’alba, dopo aver duramente lavorato con e per la poesia, il poeta avrà le chiavi della Verità ma mancheranno le porte scrive Angela, mancherà la condivisione, mancherà la poesia che le ha permesso di morire più volte sul foglio, concedendole la giusta resurrezione a ogni verso confessato agli ulivi.

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