recensione di Vincenzo D’Alessio
Al di sopra della miriade di sofferenze,
sparse nel nostro contemporaneo, ci sono voci poetiche che si nutrono di
profonda speranza. È un bene che ci siano,per non perdere definitivamente la rotta che in passato
prevedeva la fine della Poesia. La Poesia è viva e vera: nei versi, nelle poetiche, nelle
raccolte. Dobbiamo molto alle poetesse, che già dal secolo scorso, hanno
tracciato solchi che oggi accolgono nuovi filoni e vive contaminazioni.
La raccolta Mi hai lasciato uno scrigno
di parole, della poetessa Mariangela Ruggiu, inclusa nell’antologia Scelte vincenti, compie questa congiunzione traghettando l’armonia della poesia del
Novecento nelle sue composizioni recenti. Vibra nell’intera raccolta una
musicalità che riprende motivi stilistici, uso dell’enjambement, delle
similitudini, delle sinestesie, delle metafore, degli irrisolti
interrogativi, appartenuti anche a
poetesse come Alda Merini. Nella poesia SLA (Sclerosi Laterale Amiotrofica),
che apre la raccolta la Nostra, scrive: “Dio, ti parlo con gli occhi che
diventano / questa voce stridula che non mi appartiene / dimmi di questa vita,
qual è la vita” (pag. 207). Scriveva la poetessa Alda Merini: “Padre, se
scrivere è una colpa / perché Dio mi ha dato la parola / per parlare con
trepidi linguaggi / d’amore a chi mi ascolta?” (da Ballate non pagate,
Mondadori, 1995).
La figura del padre, dell’appartenenza
ad un inzio, respira forte all’interno della poetica della Ruggiu: “Passa il
tempo e non mi sei mancato / (…) perché mi hai riempito così tanto di te / nei
gesti, nei pensieri, negli odori / che ancora non sono arrivata ai ricordi” (da Padre, pag. 213), come legame
sincretico con la propria terra, le tradizioni, le risorse sotterranee:
tradite, impoverite, incenerite, dalla furia devastatrice dell’avere, degli
uomini: “Pane, vino, carbone li puoi comprare / (…) polvere sottile di guerra
che corrode da dentro, / ruggine nelle speranze tradite” (da Mio
padre, pag. 217). C’è, nello sviluppo della raccolta, un racconto doloroso, uno
sviluppo nel presente proteso a esorcizzare il tempo
che viene, che verrà, che apparentemente è vittima dell’ingiuria degli uomini:
“Venne un giorno / che le parole di tutte le poesie caddero all’improvviso / e
andarono in frantumi come bicchieri di cristallo, / (…) La disperazione,
l’ingiustizia, la fame, / la violenza non si scomposero, / da sempre fanno a meno
delle parole” (da Venne un
giorno, pag. 209).
Gli interrogativi sono tanti, e si
dispongono agli occhi del lettore come sguardi lanciati nelle varie direzioni
alla ricerca delle certezze, della possibilità di colmare desideri: “ quando
vorrei una coperta calda di pioggia,/(…) o l’abbraccio di un silenzio senza
domande” (da Inverno, pag. 208). La poesia non offre risposte concrete alla
realtà fatta di sofferenze; aiuta a difendere “la bambina”, più volte
richiamata dalla Nostra, aiuta a preservare il sogno da raggiungere, anche se
fa esclamare alla Ruggiu: “La poesia, che verbo inutile!” (da Metto un
punto, pag. 212). Sono convinto, come scrive di sé la poetessa, che: “le
poesie, una volta scritte, diventino autonome dal loro autore, per questo sono
felice di lasciarle qui, perché vadano da sole” (pag. 225).
Bella e completa è la considerazione che
dà dell’intera raccolta della Nostra la componente della Giuria del Premio Pubblica con noi 2013, la poetessa Teresa Armenti: “Sono tanti i punti
interrogativi che attendono risposte. E bisogna fare i conti con i sorrisi di
circostanza, di compatimento, mentre si coltiva il dolore indeclinabile,
compagno inseparabile di una vita” (pag. 18).
Ma è proprio per la forza sincera della
Poesia; per l’inviolabile valore della parola poetica, che la voce di una
poetessa diventa il coro capace di
superare la precarietà dolorosa dell’umano, traghettando l’anelito della vita verso “lo scrigno”
dove trovare parole che diano “un
colore per gli occhi” desiderosi di sogni.
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