recensione di AR
Questa nuova
raccolta è un dialogo con un Tu, ricercato, provocato, desiderato. La sete
della Samaritana, quella del Figliol prodigo, di Zaccheo, dei discepoli del
Battista, di Natanaele, di Maria (sorella di Marta) e di tanti personaggi evangelici,
viene espressa con vivida forza già nell’incipit che dà il titolo al libro: “Il
vento alza la voce / raccoglie pietre: chi sei? / Un uomo che spinge la miccia
nel cavo / cova un osso / per germinare volo e vece / canto capace / di
trasformare il sangue in Croce.” (Ossa
per sete, p. 11).
Sembra (ovviamente questa
è una interpretazione personale, altre possono essere le analisi che specie per
quanto riguarda i testi poetici sono tendenzialmente inesauribili) una sintesi
cristologica. Notiamo già in questa prima poesia l’attenzione al valore delle
allitterazioni (cavo-cova;
volo-vece-capace-Croce…), la personificazione del vento che è la
manifestazione dello Spirito, la esplosività del messaggio del Figlio dell’uomo
che “spinge la miccia”, va alla radice delle cose (“covo un osso”), dà ali a
una Parola che è canto che rimanda che rimanda al Padre (“volo e vece”) e si
incarna in una vita (“sangue”) che è dono totale e congiunzione fra cielo e
terra (“Croce”). Pochi teologi potrebbero raggiungere una simile impattante
compattezza per di più offerta da un poeta laico e tendenzialmente “ribelle” e insofferente
dei legami religiosi e normativi: è proprio vero che lo Spirito soffia dove
vuole ( ce lo ricorda nella perspicua Introduzione anche Di Maro) e chiede a
ciascuno “Chi sei?”. La domanda viene ripetuta nella seconda poesia dove si
parla di una mano che copre la Misericordia “con la sabbia”. Qui si fa appello,
credo, alla necessità di disseppellire una carità attiva, alla San Paolo della
I Corinti (cap. 13) e al Discorso della montagna di Luca 6, 17ss, ad esempio.
La quarta poesia
pone la domanda “Perché sei qui?” e la risposta è quella di un io che rivendica
una religione autentica, ossia non fondata “sulla paura di morire” (p. 14).
Altre poesie mi risultano
enigmatiche o criptiche, spiazzanti e in qualche caso forse eccessivamente “futuriste”
come nel distico: “Ed Eva gravida e storta / come una barca colta dalla malora”
(p. 18). Ma anche in questi passaggi si nota in Adernò una capacità visionaria
(magari a volte da imbrigliare perché non risulti grottesca o fuori bersaglio o
compiaciuta della sua stessa abilità) di grande efficacia: “Guarda Tommaso. //
Ora trema come l’amo / che chiude il cerchio / tra la lenza e il pesce” (p.
21); “edificammo un’oasi, / ma fu risucchiata / dall’ombelico” (p. 26); “schierati
in una fila di mascelle / lanciano pietre / convinti / di poter lapidare / nome
e miracolo” (p. 29, poesia riferita alla lapidazione del protomartire Stefano).
Bellissimi i
passaggi in cui l’umanità, la personalità, lo stato d’animo dei discepoli ed
altri personaggi che sono venuti in contatto con il Figlio, e di Lui stesso,
viene descritta con parole empatiche e vibranti, oscillante fra fede e
scetticismo: “Hai notizia di Pietro? // Che per mascherarsi / si coprì di
lacrime. Pentito / fino alla morte / d’aver deglutito / con un solo sorso / il
nome dell’amico?” (p. 22); “Dinastia afferrata a verità / da cui cadono /
ammaccate e distanti le cose” (p. 30, si fa riferimento a un Noi: il popolo di
Israele? i discepoli? noi stessi?); “Dio ti ha parlato? / Cosa ti ha detto? //
Andrò alla croce com un ladro” (p. 42); “Dopo essere morto / sarete voi a darmi
un corpo” (p. 43); “E Noi Maestro? // Proseguirete / come la notte incede /
sugli occhi del cieco” (p. 44).
A p. 53 troviamo
una poesa eucaristico-trinitaria: “Così spezzo il pane per il Padre, / il
Figlio e il dono dello Spirito. // E bevve il vino / per fare dei Tre un solo /
e definitivo motivo” (p. 53).
A p. 59 inizia la
sezione «Sete (di meraviglie)» che mi pare più intima e dove l’io dell’Autore è
più presente e, direi, indignato e invettivo: “Per esempio, quella che chiami
madre / non è che un tentativo” (p. 67); “Essere sarebbe sufficiente ad
insegnare” (p. 77, un solo icastico verso); “Zero è il numero / che consente
alla variane di rimanere tale. // Questo possiamo. / Filare fantasmi con la
saliva. / O mangiarci l’osso” (p. 78); “Dietro ogni illusione il nano incassa /
lo stupore / dei mal riusciti e frizzanti di pianto” (p. 79).
L’ultimo distico
recita: “I suoi seni hanno generato una fessura? / Sete di meraviglie” (p. 80).
Sì questa opera è
intrisa desiderio, reclama un senso che non solo ci proietti oltre, ma che lo
faccia sorprendendoci: l’atteggiamento è magari un qualche punto superbo (ma si
po’ chieder a un poeta di essere del tutto umile?), in altri provocatorio o
sopra le righe, ma leggere Ossa per sete
è un viaggio da fare, un cammino che ci cambia come crediamo abbia cambiato in
primis Sebastiano Adernò. Buona continuazione lungo la Via a noi e a lui!
v. il video girato a Rapallo
v. il video girato a Rapallo
Nessun commento:
Posta un commento