La Vita Felice, 2012, prefazione di Davide Rondoni
nota di lettura di AR
La nuova raccolta di Rita Pacilio ci accompagna con visionaria empatia nel mondo del disagio mentale: i versi compongono frammenti di universi paralleli eppure sempre agganciati (magari per minima intersezione) alla cosiddetta realtà che si scopre sempre costellata di buchi neri, di aree di mistero, di desiderio (c'è come una domanda che punta ad extra e nasce da una imperfezione latente e direi necessaria alla crescita, alla trasformazione, alla disponibilità, alla solidarietà). Consideriamo alcuni passaggi in un cammino a ritroso: «“Come ti chiami?” urla l'altro imperfetto / la ridicola ironia esala lampi. / (…) / Sembra siano attori di commedia / (…) / la scenografia è dentro la loro testa.» (p. 38); «Sono il ciottolo ripudiato dall'oceano / mentre la vanga scava fino ai cieli d'estate / dove resta immobile il seme infuriato.» (p. 36); «le ore sono caviglie fiorite / per mantello un velo di metallo.»; «Era stravagante / addensata di sorellanza viva / non bastava la camicia di forza / persino l'aria avrebbe sconfitto.» (p. 32); «Nel passo lento ascolto / dalla suola si staccano battelli / sono le prime ore del mattino / quando l'alba è ancora appannata.» (p. 29); «L'amico di stanza è una corteccia / successione di due allegorie» (p. 28); «Il giardino l'hanno messo sul tetto / il custode è il lungo cipresso» (p. 27); «chiunque può contare le mie rughe / e cadere in ogni insenatura.» (p. 26); «lo so, tu sai scucire la terra / una grossa onda sul nostro campo. / (…) / Non cambiare l'odore al soffitto.» (p. 25); «Non capirò mai niente del nome della sera / dei lampioni spogliati come donne / e di te che ti sfaldi sul muro di casa.» (p. 23); «La prigione di mio fratello / ha le finestre sorde / esala l'anima ancora sbalordita» (p. 20); «tra singhiozzi ti aprirò il nome / come fa una rosa» (p. 18); «Gli imperfetti sono gente bizzarra / lasciati nell'arena, non so dire esattamente, / come un ghigno. / Ho pensato che Dio ama l'insicuezza / e le sfumature dei dirupi.» (p. 16).
Sì, è quando si è vicini all'abisso, quando il nucleo vitale è totalmente in gioco e in fondo riassumibile in un vibrante punto di domanda, quando le relazioni rivelano tutta la loro fatica e la nostra capacità di amare viene messa a dura prova e l'esperienza di sentirci amati sembra una transitoria catena di illusioni… è allora che possiamo percepire la Voce e accettare la croce che immette il cielo nella terra e abbraccia e salva. È infatti indubbia, anche se mai esplicita, una forte componente cristiana che innerva la poetica di Rita Pacilio e fa spesso di queste poesie autentiche preghiere (anche crude e dal tono invettivo, come del resto troviamo non di rado nella Bibbia). Una “dura traversata, dove i versi sono d'una bellezza sfiancante e maestosa, come certe opere di Bacon”, scrive Rondoni (p. 6) introducendo quest'opera che Rita dedica con assoluta poetica intensità al fratello Alfonso.
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