Rosa
Pierno
In Artificio, l’ultimo libro di Rosa Pierno,
dialogano e guerreggiano, come in uno specchio lenticolare e ansiosamente
scomponibile, gli estremi del fenomenico e dell’illusorio, del sensibile e dell’intangibile,
dello sfuggente e del corporeo. Il lettore
è invitato a entrare nelle regole di un gioco libero e preciso insieme:
osservare, individuare e cogliere tutte le segrete combinazioni, le possibili sincronie,
le remote corrispondenze che toccano quell’istante inesplicabile nel quale appare l’enigmatica epifania dell’amore.
Ma l’eros
è inteso, qui, come un’ambigua e incontenibile energia, sempre ermetica ed
elusiva; ed è per questo che la narrazione di un incontro d’amore non può essere
«naturalistica», logica, immediata: essa deve per forza, invece, trasmutarsi in
descrizione favolosa, in impresa fatata, in cronaca miracolosa. Perciò gli
intrecci erotici, le coincidenze affettuose, gli spettacoli amorosi sono
affidati a raffinatissimi meccanismi simbolico-formali che uniscono, stringono
e legano insieme l’eccedenza e la grazia, la temperanza e la dissonanza,
ricorrendo all’invenzione di una prosa che si mostra cangiante e policroma,
fitta di sublimanti arcaismi e di speculari omofonie, e sempre mirabilmente
immersa in un turbine di esaltazioni e di alterazioni, di turbamenti e di
mutazioni di trepidante, sensuosa indocilità.L’amore si manifesta, allora, nel prezioso teatro della scrittura di Rosa Pierno, come parvenza, travestimento, macchinazione e simulacro: o come un’oscura gàbola maliziosa.
L’artificiosità di una simile struttura è, dunque, connaturata alla medesima inquietudine metamorfica delle accensioni d’amore: e la stessa apparente morbidezza delle prose di questo libro si muta, non di rado, in una specie di violenza differita, consegnandosi al lettore come una messa in scena obliqua e ancipite, sibillina e trasversale; la scrittura, così, si presenta come una danza lieve e tagliente che si riversa nella vorticosa simultaneità delle apparizioni di Amore, condannato al precipizio continuo della modulazione e della fluttuazione, della sorpresa e del sovvertimento, dell’oscillazione e del rinnovamento.
La poesia di Rosa Pierno è così inquieta ed eccedente da trasformarsi in prosa. Come Amore, vuole costantemente cambiare forme e suoni, e tesse e ritesse una sensibilissima trama segnata da rigenerazioni impreviste e da riprese a distanza, da crudeli cadenze d’inganno e da gentili, lirici approdi. Solo una certa arte barocca – come, ad esempio, l’aguzza e cristallina musica dell’Actéon di Marc-Antoine Charpentier – possiede una simile, paradossale unione di umori e di colori eternamente rigermoglianti e imprendibili, geometrici e impazienti, onirici e rigorosi.
Diana
e Atteone
Prima che la freccia scocchi,
l’umano che di cervo ha già la testa e i piedi, è raggiunto dai cani che lo
azzanneranno. Se a desiderio non si riconosce statuto, il men che capiti è che
lei ti dia la caccia per avere guardarla osato. Eppure, quale incantevole
giardino è mai questo, avente foglie stampigliate con l’oro e luminosi archi di
fronde, anche se colto un attimo prima che il temporale scoppi e la tragedia si
consumi! Dee non furono fatte per gli umani, ma da umani desiderate e immaginate
con vestito rosso, irretite da sibilante vento.
(da Artificio, Robin edizioni, Roma, 2012).
Rosa Pierno è nata a Napoli nel 1959.
Laureata in Architettura, vive a Roma. Dal 1993 collabora come redattrice alla
rivista di ricerca letteraria «Anterem» diretta da Flavio Ermini. Ha pubblicato
i libri: Corpi (1991); Buio e Blu (1993); Didascalie su Baruchello (1994); Interni d'autore (1995);
Musicale (1999); Arte da camera (2004); Trasversale (2006; vincitore
Premio Feronia - sezione poesia); Coppie improbabili (2007); Artificio (2012). Svolge intensa attività critica. È presente in numerose riviste,
antologie e cataloghi d'arte.
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