lunedì 4 aprile 2011

Su Suture di Luca Artioli

recensione di Matteo Fantuzzi pubblicata su «La Voce di Romagna» del 4-4-2011

scheda del libro qui

2 commenti:

Luca Artioli ha detto...

Ringrazio Matteo per il tempo speso nella lettura del mio "Suture".
Mi permetto, però, di precisare un aspetto che l'occhio di Fantuzzi probabilmente non ha saputo cogliere.
A differenza di quanto scrive, non c'è alcuna sorta di volontà da parte mia di paragonarmi ai poeti americani o far passare le mie "Suture" e la mia "resilienza" (erroneamente accomunata ad un esilio) come un modo per darmi un tono da "beat", finendo poi per tradire le aspettative di chi mi credeva tale.
Le "mie" suture sono legate ad esperienze personali intime e dolorose, che hanno compromesso in parte la mia salute, il mio fisico.
Accetto dunque con molta disponibilità la critica sul livello qualitativo di alcune poesie (anche se qui, si sa, la soggettività gioca sempre un ruolo fondamentale), ma prendo le distanze dal piglio iniziale di questa recensione.

Che dire ancora?
Invito altri a leggere il mio libro e ad esprimere la propria opinione! :)

Andrea Garbin ha detto...

Libro letto!
Luca, Matteo: scusate, ma non riesco a starmene zitto sull’argomento. Sono sbalordito per quanto leggo. Non entro nel merito del valore della poesia di Artioli poichè odio salire su un piedistallo – foss’anche di un solo centimetro alto – per dire “la poesia di Artioli è buona” ; “la poesia di Artioli non è buona”. Ma questa recensione travisa totalmente la neonata opera di Artioli, non l’Artioli poeta, ma l’Artioli uomo che tenta tramite queste “suture” di liberarsi e godere nello stesso tempo del peso di un personalissimo percorso di sofferenza. Conosco Luca da anni, al che mi sorge il dubbio che fantuzzi nel leggere “suture” non si sia chiesto “chi scrive cosa scrive e perché lo scrive?”. Stiamo parlando di un libro di poesia, non di narrativa, non è dunque sufficiente leggerlo e valutarlo per l’inchiostro gettato su carta, serve invece comprendere anche il percorso di questo poeta, altrimenti una recensione a nulla serve, e questo è proprio il caso. Mi stupiscono poi alcune affermazioni, questo accostamento a certa poesia americana che non vedo affatto, questo richiamo a Kerouac (noto ed esemplificativo esempio di poesia americana?), il ripetere per l’ennesima volta il solito errore con Hirschman quando si parla di beat, cioè perlarne come se lui fosse un beat, lui stesso lo nega, altri anche, mi corregga - se sbaglio – Vangelisti, nel dire che forse Hirschman è accostato più alla renaissance di San francisco o anche a Los Angeles (non basta essere amici dei beat per esserlo). Dire poi che certa poesia americana , qui si cita Hirschman, male impatti qui da noi significa non conoscere a fondo l’ambiente poetico e la società attuale, mi pare invece che Hirschman conosca meglio entrambe le cose di molti presunti poeti italiani che tentano di fargli il verso o che tentano di fare poesia civile, questo vale anche e soprattutto per alcune delle tematiche da lui trattate. Detto ciò, si stia dunque attenti nello scrivere alcune cose, perché il lettore che poco conosce la poesia, o quello che ci si vuole accostare, viene confuso, mentre con chi un poco ha conoscenza le conseguenze sono due: che Artioli venga passato per il tipo di poeta che non è; e che Fantuzzi passi per quello che il libro Artioli l’ha letto con superficialità. Mi piacerebbe dunque poter leggere delle valide giustificazioni alle affermazioni inserite nella recensione. Questo i lettori lo meritano.