venerdì 23 febbraio 2007

Poesie di febbraio (Antonella Pizzo)


Le foglie con le nocche tocchi

Le foglie con le nocche tocchi
decisi palmi poi le coccoli
oh due ciliegie
tre albicocche
le imbalsami in anelli
ne fai bracciali
grappoli l’uva
e ne fai orecchini
col roveto ti fai un diadema
le vespe e le spine
s’attorcigliano ai polsi
ricci di castagne
s’attaccano ai capelli
che frastuono, che clamore
la terra trema
precipitano gli uccelli
le gote si gonfiano, si sciolgono le lingue
si biforcano le linee in mezzo agli occhi
se tagliano il calcagno si ferisce la mano
s’alza il piede
s’apre la bocca e si rivolta la verità
di bocca in bocca


4.2 .07

la vita passata a cercare
quarti di pollo tranciati
una moglie che potesse sgravargli
due figli, che potesse portargli
un cuscino e potersi sedere sul trono
lei inchinarsi di giorno e di notte
in un senso diverso
poi dirgli signore
la minestra è servita, il vino versato
qui giace una fetta di pane raffermo
sulla tavola dell’ultima cena
apparecchiata alle scure
placente malate
a un liquido d’acido d’amnio


5.2.07

il mattino era giallo e si stendeva ozioso
fra ripari assopiti e portoni chiusi
le cuffie si impigliarono nei rami alla finestra
il coprifasce nell’aria si muoveva lento
come onda di fiume appena accennata
poi si strappò sulla schiena
in un taglio sottile di lacerazione
fu allora che si confuse la coccinella
ma nessuno se ne accorse o aprì le mani per cercare
una linea che potesse ridisegnarla intatta
eppure tutto era stato costruito a coronamento
la palizzata eretta, il cancello pitturato
le tegole del tetto incastrate ad una ad una

allora ditemi di muri innalzati
di quanti mattoni avete impilato
di quanta calce, quanto cemento e quando
e come con ferro legati, impalcature elevaste
quando scavaste le fogne e la fossa
ditemi dei tubi che avete allineati e quando infissi i pali
i fili passati, quando digitali terresti e parabole
ellissi divaricate e quando sanguinante
dispiegò se voi sapete esattamente il quanto
e il quando, se sapete misure e formati
lo specifico peso
ma dove si ruppe le ali Icaro
le sue elitre malate il suo zoppo volo
il bambino che dice
fortuna è passata, fortuna già
passata



17.2.07

facendo la misura trovo che la mia vita
sia un guazzabuglio, un rivolo che non ha trovato
la discesa giusta per andare lì dove vanno tutti i fiumi
a morire


17.2.07

se tu dormi e se tu esci
se io resto
posso scrivere una poesia se mi viene ma se penso
mi perdo e se mi perdo quando tornerete
può essere che non mi troverete


17.2

così sono sei anni che manchi
così sono sei anni che aspetto
anche se so che non tornerai

le tombe di Pompei sono lì
che aspettano
da più di mille anni
questo mi dico quando giro per casa
e poi m’affaccio alla finestra quando
sento salire per strada
un motorino cinquanta scoppiettante.


20.2

posso scrivere il tuo nome mille volte
e mille volte cancellarlo
posso avvolgerti in carta di riso
e bruciarti nel forno crematorio
posso coprirti di zucchero al velo
tagliarti torta di mele
posso mangiarti e digerirti forse
ma prima masticarti, insalivato bolo
posso alitare il tuo specchio
col dito disegnarti meglio
farti un profilo unico
che vada nella giusta direzione
ma tu ti ritrai e io non posso


22.2

E che per te si compia e che per me si faccia
e che per noi l’anta si apra, s’allarghi e non s’infanghi
la parola che crea o che distrugge. Ferisce
l’imputazione, l’amputazione d’arti e fatti
colore e pentimento, soffocano
in un cassetto bugie e menzogne, i fili di polvere, i pani attorcigliati
corone e spine, groppi e zoppi, inverecondi irati; e per te che nascesti
in un giorno d’estate chiaro ti sia sempre chiara la ragione
il lume accesso, splenda e risplenda la verità lucente
ti sia un bucato al sole steso, sui prati di trifoglio e camomilla
ti siano le ortiche care e le gramigne, le serpi amiche
t’allattino le lupe al seno, ti bacino i fiumi e le correnti
ti donino le salvie inflorescenze
a mazzi, a fasci le spighe piene
così per te si faccia, così per te si compia
così per te per sempre la rinascita


Questi versi, intensi e icastici come è nella cifra dell'autrice, offrono sillabe perforanti e immagini che ossimoricamente uniscono una visionarietà metaforica sontuosa e originale (ma non esibita) a un lessico sobrio dal ritmo asciutto e dagli echi tragici: "… un rivolo che non ha trovato / la discesa giusta per andare lì dove vanno tutti i fiumi / a morire". Una poesia da assoporare e meditare.
Antonella Pizzo (Palazzolo Acreide, 1954) vive a Ragusa. Scrive dal 2002. Ha ricevuto numerosi riconoscimenti in concorsi letterari. Ha pubblicato il romanzo Di rosso smunto (Prospettiva Editrice, 2004) e sillogi sia in vernacolo che in lingua. Nel 2005 è uscita per Lietocolle la raccolta A forza fui precipizio. Nel 2006 ha pubblicato con Fara Catasto ed altra specie ed è stata giurato del concorso Pubblica con noi. Sue poesie sono state pubblicate in riviste e rubriche on-line (tra cui Liberinversi, La costruzione del verso, Poiein e diverse altre altre) e in alcune antologie (tra cui Verso i bit: poesia e computer, Lietocolle, 2005 e Lo stormo bianco - Edizioni d’if, 2005). Gestisce il sito Poetienon, è tra i fondatori de L'Attenzione e fra i collaboratori de La poesia e lo spirito.

5 commenti:

Luca Ariano ha detto...

Ho avuto ultimamente molte occasioni di commentare le poesia di Antonella. La mia impressione non muta, anzi si rafforza! Trovo molto intense le immagini che usa il suo stile colpisce sempre forte. Il paragone è azzardato, infatti non lo faccio, però una certa "icasticità" (come scrive Alessandro Ramberti)Mi riporta alla poesia di Lucio Piccolo. Stili completamenti opposti ovviamente!
Un caro saluto

Hobby e arte ha detto...

Mica uno da niente Lucio Piccolo! Fallo il paragone, dài, che male c'è? D'altra parte era siciliano come me :-) ciao luca e grazie. un ringraziamento speciale va ad Alessandro per aver ospitato nel suo blog le mie poesie. buona serata antonella

fabrizio centofanti ha detto...

la poesia di Antonella Pizzo è linguaggio. sembra scontato, ma qui bisogna sottolinearlo con matita rossa e blu. è dal linguaggio che si sviluppano suoni e immagini che s'incrociano con la vita, i suoi drammi e le sue piccole gioie. se non ci fosse la corrispondenza tra suoni, il gioco dei rimandi fonici, delle assonanze delle allitterazioni, questa poesia non esisterebbe, forse non esisterebbe neanche questa vita: perché la poesia cambia la vita, ne fa una cosa leggermente o totalmente diversa. forse la vita della Pizzo, senza la poesia, sarebbe stata tutta un'altra cosa. forse, azzardo, non avrebbe retto all'urto. la poesia salva, ha detto qualcuno. secondo me, poche volte è stato vero come in questo caso.

Hobby e arte ha detto...

riguardo gli urti, anzi l'urto, hai ragione. è come dici, a volte la poesia salva. ciao e grazie antonella

Alessandro Ramberti ha detto...

La (vera) poesia è necessaria, e in questo senso può anche essere un'ancora di salvezza (per l'autore e/o per il lettore).