Dal romanticismo inglese, la riscoperta di uno dei padri del rispetto della Natura e dell'importanza dell'Immaginazione In un contesto in cui gli studi in italiano su Coleridge sono piuttosto rari o di non semplice reperibilità, questa monografia vuole rendere accessibile un autore fondamentale per la letteratura anglosassone del XIX secolo. Attraverso testi in lingua originale e in traduzione e grazie all'analisi della bibliografia inglese più accreditata, l'autrice Federica Re si focalizza su tre opere, La ballata del vecchio marinaio, Christabel e Kubla Kahn, concentrandosi sul significato assunto dallo spazio e sulla capacità di Coleridge di evocare immagini e situazioni oniriche, allegoriche e visionarie, creando una soglia che dà fantasmaticamente e indubitabilmente accesso all'oltre.
La caratteristica più importante del Romanticismo inglese è quella di portare in primo piano le emozioni e la personalità del poeta - che diventa una sorta di profeta/veggente -, e il suo rapporto fatalmente sofferto e complicato con il noto e con l'ignoto che lo circondano, e con gli esseri più o meno "familiari" che lo abitano. Il luogo principale in cui cercare l'illuminazione, l'estasi, l'ascesi, o più semplicemente in cui smarrirsi e abbracciare l'Infinito, diventa la Natura, essendo il Poeta una creatura dotata di sensibilità superiore, che si rifugia in essa, e in essa intuisce il senso non solo della propria esistenza, ma dell'universo intero. Questa "presa di coscienza", tuttavia, non sarebbe possibile e completa senza l'intervento dell'Immaginazione, facoltà creatrice indispensabile ai Romantici per confrontarsi con il visibile, ma anche e soprattutto per cogliere la verità assoluta che si cela dietro l'apparenza, e per poterla racchiudere nell'opera d'arte.
Con il termine "spazio", quindi, si deve senz'altro intendere l'ambito tangibilmente individuabile nel quale si muove l'ispirazione del poeta (e in questo caso, esso si configura nella natura - cioè in qualcosa di esterno e di immutabile -, e nell'immaginazione - cioè nella capacità di individuare questo esterno e di rielaborarlo con la propria sensibilità). Ma si può anche intendere qualcosa di più misterioso, primordiale, fantasmatico, ovvero la capacità quasi divina di plasmare realtà diverse e nuove - non necessariamente umane né concluse -, dotandole di contorni (a)temporali, che a volte si cristallizzano in una forma costante e definitiva, a volte scorrono inafferrabili a formare un coacervo intricatissimo di significati, rimandi, intuizioni, possibilità.
È soprattutto in questo senso (ne sono convinta dalla prima volta che ho ascoltato Kubla Khan al liceo, rimanendone letteralmente folgorata), che va letta l'opera di Samuel Taylor Coleridge. Se nei conversation poems, infatti, egli propone uno spazio naturale, nel quale pensieri e ricordi "si posizionano" in maniera lineare, in Christabel e, più ancora, in The Rime of the Ancient Mariner e in Kubla Khan, crea uno spazio indomito, visionario, soprannaturale: una soglia per accedere all'oltre. In esso, le immagini sono più o meno consapevolmente tratte sia dall'esterno - e dagli spunti letterari ed emotivi che l'esterno è in grado di fornire -, sia dalla vocazione al tempo stesso figurativa e allegorica dell'individualità che le manipola; dunque si spostano secondo finalità specifiche di carattere visivo, oltre che poetico, come se la "disposizione fisica" dei versi - e degli oggetti e degli eventi in essi contenuti - sapesse infondere una valenza di volta in volta consueta, o ultraterrena, alle vicende narrate.
Nel mio libro, mi ripropongo di esplorare le suggestioni evocate dalla profondità immaginifica abissale di Coleridge, con l'obiettivo principale di (rin)tracciare la forma onirica e trascendente che lo spazio assume nelle sue tre opere più adatte a un approccio di tale genere: Christabel, The Rime of the Ancient Mariner e Kubla Kahn.

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