La nuova raccolta di poesie di Federica Re, Ciò che rimane di me, è insieme confessione e visione, sguardo intimo e apertura universale, percorso dentro le contraddizioni dell’amore e le metamorfosi dell’esistenza. La raccolta si articola in tre sezioni — senza te, con te e dopo te — e accompagna il lettore in un viaggio che intreccia solitudine, estasi, abbandono e ritorno, fino a un approdo che coincide con l’essenza stessa dell’essere poeta.
Nelle sue liriche, Federica Re esplora i confini tra visibile e invisibile, tra musica e parola, tra sogno e materia. La sua scrittura, sperimentale e pittorica, gioca con punteggiatura, spazi, corsivi, persino con la grafia, per negare inizio e fine, inseguendo un altrove che vibra oltre il tempo.
Le poesie risuonano di echi musicali (da De André a Tenco, da Zucchero a Bowie) e si muovono in un paesaggio costellato di cieli azzurri e orizzonti terrosi, di estasi e ferite,
di amore e solitudine.
Con Ciò che rimane di me, Federica Re consegna ai lettori una testimonianza poetica che non cerca consolazioni facili, ma affronta la complessità della vita con uno sguardo onesto e visionario. Perché, come scrive in chiusura, “vivere nel mondo condiviso” a lei non basta: ciò che resta, e resiste, è la poesia.
Se (non) mi guardi
mi stacco dal finito
e le mie dita
ti ammoniscono fruscianti
mentre dissemino
le spoglie di me stessa
rivendicandone
l’impavido clamore.
Non hai saputo
tenermi tra le braccia
né riconoscere le
labbra sulle tue
ed hai scambiato
ogni mia resurrezione
per un ritorno
dopo la follia.
(ma questa volta
non ti cercherò)
La fonte della felicità
Gaudente mi rifugio
nell’estatica bellezza
di un cielo sconfinato
che mi avvolge e
mi consola:
docili si placano ansie
disordinate e strane
mentre gli occhi estasiati
ammirano le sapienti
evoluzioni dell'universo.
Nulla avrà mai fine
in quest’attimo d’eternità
nulla turberà la pace
dello spirito placato
con dubbi inquieti e
rimpianti mai asciugati
ma un silenzio venerato
e meditabondo
tacerà la paura del divenire
e lascerà che il pensiero
si abbeveri fecondo
alla Fonte della Felicità
mentre mi guardi
da spazi forse solo immaginati
i tuoi occhi rotolano accorti
dentro la mia anima
sfiorando solo le parti
di me stessa
che non so scegliere
nè dimenticare
ma nonostante il tempo
inutilmente sparso
dai nostri umori e
dalle nostre troppe attese
che si ripetono senza più direzione
non ti è permesso
infliggere ad una sagoma
finita, i fitti assilli
del mio vociare manicheo
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