martedì 10 giugno 2025

Tre poesie da "Debito il tempo" di Valeria Raimondi



        


Si tratta di un tempo dovuto, come giusta ricompensa; o un tempo usuraio che per un prezzo altissimo concede saltuariamente “parole cadute come briciole / e raccolte a elemosina”. È domanda legittima che il lettore può porsi, ma non deve pretendere risposta dal poeta. Può essere piuttosto una domanda viatico da conservarsi dentro per essere sostenuto durante il viaggio breve ma travagliato tra le onde serrate dei versi di Valeria Raimondi. Viaggio di conoscenza in quel mare gonfio di tempesta imminente e mai esplosa. Forse il pudore le impedisce l’abbandono drammatico a effetto, forse una scelta di poetica che, pur restando fedele alla visione dell’io, non si concede al solipsismo o al ripiegamento sterile di facile consumo. I versi si susseguono senza interruzione, come ondeggiamento di stati d’animo, desideri appena espressi e poi violentemente rinnegati, confinati nel “trionfo” della “decadenza”.
Anche lì dove talora affiora il lacerto di un episodio vissuto, subito viene sottratto alla confortante realtà degli eventi per essere gettato nello scorrere implacabile di un tempo che appare indifferente. Un tempo che segue leggi estranee al bisogno troppo umano di leggerezza e riposo. La forma diventa quella di un unico poema dove l’interruzione tra le strofe e tra una poesia e l’altra diventa pausa di riflessione all’interno di un’unica melopea, un’unica tenzone con un nemico che ha già vinto: il Tempo... (dalla postfazione di Maria Teresa Ciammaruconi)

La parola è ormai (s)finita
giunge tardi come ombra sulle cose
detta o scritta porta dentro il suo declino
già rivela il languore, dal mattino.


Muta il verbo nella notte
ammutolisce
ammutinato ammaina le sue vele
bianca sventola la mano e già si adombra
si sfa subitamente in schiuma, l’onda.

E l’Idea potente urlo che vorrebbe
rivelare solo il vero, il giusto, il buono
pare fiato sopra il collo del già detto
un respiro che lo specchio appena appanna.


Proteggo il mio esilio con destrezza


Proteggo il mio esilio con destrezza, 

non consumo parole, mi disarmo, 

mi rifugio dove i pensieri non s’adirano 

e un vento quieto torna a sollevarli. 


Che non mi scovi l’altra nello specchio 

e non mi allieti la storiella del destino! 

ché non abbisogno ora di segni, ma di mani 

che forgino daccapo il tempo e la materia.





Il velo


Fosse solo un passaggio

non avremmo che da temere il salto,

il viaggio per dovunque,

e non durerebbe,

non durerebbe troppo a lungo il dolore.


Ma è questo inappropriato esserci

senza aderenza di arti o cuori,

l’ostinato restare di qua dal velo,


e restarci evanescenti, assorti,

come già in parte assenti.




Debito il tempo (ChiareVoci Edizioni) euro 12.00 pag.62



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