Sedime di Gianni Marcantoni
Torna alla scrittura Gianni Marcantoni con la raccolta Sedime edita nel novembre di quest’anno con la casa editrice riminese Fara. Sedime significa propriamente “sedimento, posatura”: in ambito edile indica la superficie su cui ci sono le fondazioni di una costruzione. Si tratta di un termine raro, derivante dal tardo latino sedimen = “depositarsi”. Ricavo queste informazioni dalla enciclopedia online Treccani. Il termine è raro e prezioso come queste poesie.
Innanzitutto colpiscono la bellissima immagine di copertina, raffigurante l’acqua trasparente e verde del mare, quasi una vista di speranza sul fondo, sul sedime, per l’appunto.
Il sedime può essere una zona remota, come si evince dall’omonimo titolo della prima poesia della raccolta. E anche da lì non si scappa: “Sotto quel che sei ‒ e con te arrivando,/ non troverai vie di fuga”. Il sedime può essere il mare, come accade nella lirica In nessun mare. Anche qui in realtà si tratta di un fondo introvabile, irraggiungibile, remoto, abissale: “Mare per noi che non ti vediamo/ mai sorgere, nel tuo barile profondo/ respiriamo insieme/ e trafughiamo conchiglie rotte”.
Altra fondamentale e irrinunciabile declinazione del sedime è il silenzio cui pure sono dedicate diverse poesie. Si tratta in effetti di un tema, quello del silenzio, molto caro al poeta.
Il sedime è la realtà bestiale che resta al di sotto di tutto: “La realtà è una bestia legata,/ gonfia di latte, dalle mammelle ferite;/ nella mossa delle fauci/ la piuma esterna viene spolpata” (Cosa resta).
In tutta questa Natura sedimentata, non dobbiamo dimenticare l’uomo e le sue paure. Da un lato tale sentimento riguarda l’ignoto, “un mondo…/ sconosciuto come il passato/ assai lontano da noi”; dall’altro riguarda il contrasto tra la permanenza della natura e l’impermanenza dell’uomo: “E la caverna lunga e buia/ ora è vuota, l’acqua cadendo dall’alto/ è divenuta roccia;/ non siamo noi questi resti,/ quei resti non sono di nessuno” (La paura dell’uomo).
Talora, invece, la Natura ci è accanto, ci è solidale, è tutto un sedime con noi: “Il sole ha i miei malanni,/ la stessa avversione,/ la mia coscia,/ e scende, affonda ultimo/ per essere uno spago tirato. Mio mentre” (Accanto). In questo mutevole scambio tra Natura e Uomo, il poeta si congeda dal suo misterioso “tu”, l’interlocutore non nominato dei suoi versi, forse il lettore, forse un amico, forse una donna, forse Dio, forse un sedime. Buona permanenza e buona lettura!
(Consigliato da Filomena Gagliardi)
Nessun commento:
Posta un commento