Maria Pia Quintavalla, Saudade (2017 – 2022), Prefazione di Giancarlo Sammito, puntoacapo editrice 2024, p. 95
recensione di Giancarlo Baroni
È composto armoniosamente da tre parti il libro di versi e prose di Maria Pia Quintavalla appena pubblicato dall’editore puntoacapo. Le tre sezioni si intitolano Casi del mondo, case dell’amore; Saudade e Le Prose; il titolo del secondo capitolo coincide con quello dell’intero volume il cui sottotitolo specifica il periodo di composizione, cinque anni dal 2017 al 2022.
Cosa si intenda per saudade lo spiega una delle epigrafi scelte dell’autrice: «dal latino: solitas, solitatis = solitudine, intenso desiderio di qualcosa di ASSENTE in quanto perduto, o non ancora raggiunto». La gamma dei sentimenti oscilla dunque fra nostalgia e struggimento. «Mancanza o assenza. Ma di cosa? Di una trasognata condizione di felicità? Di chi non è più materia, pur essendo ancora con noi?» si chiede lo scrittore Giancarlo Sammito nella sua intensa Prefazione.
La saudade di cui parla Maria Pia Quintavalla non è sinonimo di isolamento, sconforto e accidia, non coincide con un ripiegamento dell’io su sé stesso. L’autrice è nata negli anni Cinquanta e la sua generazione ha valorizzato la dimensione collettiva del vivere, l’impegno condiviso e comune, lo stare, il fare e il progettare insieme. Il primo verso del libro è in questo senso esplicito: «C’è bisogno degli altri, come di un’illuminazione». L’affievolimento progressivo di questa dimensione di socialità ha generato inevitabilmente, in chi ci ha creduto anche solo come illusione e sogno, sentimenti di rammarico, rimpianto e nostalgia.
La parola chiave del libro è amore; una parola ricca di benefiche virtù a cui nessuno può rinunciare, pena un inaridimento della coscienza, dell’anima.
La Nota bio-bibliografica rivela quanto la letteratura e la scrittura siano fondamentali nella vita di Maria Pia: parecchi i volumi pubblicati, numerosi i premi e i riconoscimenti ottenuti; una passione, la sua, che non si attenua e non si esaurisce: «il mio prossimo libro, il prossimo amore», promette con risolutezza un verso. Un brano in prosa, quasi una confessione diaristica, dice: «Se Dio mi ama scrivo e se non scrivo muoio, peggio beccheggio e stono fimo a sera».
Il sentimento amoroso dell’autrice non rimane confinato dentro la pagina letta e scritta ma si estende immediatamente al mondo degli affetti più vicini, alle persone e alle creature più care: «C’è un paese amico che mi segue e chiama, / mi protegge, ha nome: / amicizia affetti figlia, e poi animali». Uno dei libri più intensi di Maria Pia Quintavalla è il romanzo familiare in versi China. Breve storia di Gina, fra città e pianura (Effigie, 2010) di cui è protagonista la madre. A suo padre Piero la poetessa ha dedicato I compianti (Effigie, 2015), sottotitolo Passeggiata con Correggio; nella postfazione intitolata Il nido e la voce della poesia la scrittrice Bianca Garavelli sottolinea che «per Maria Pia Quintavalla la famiglia è realtà importante, essenziale, luogo di formazione, crescita, e soprattutto fonte di ispirazione, autentica sfida per la poesia». Nella sua nuova raccolta ci colpiscono i versi ispirati dalla figlia distante; struggenti e appassionati, intinti in una saudade che riguarda sia il passato che il futuro: «ma per colei che vive e che sarà / nata dal riso, / potrei ridarle ancora la mia vita, e poi tacere» e ancora «Essere felice per volere di una / figlia è possibile».
«Nell’eclissi dei sensi e dell’amore», sottolinea l’autrice per metterci in guardia, «anche la ragione si era addormentata, e ritrovata infine in una nicchia inverno, dove sorseggiare ricordi sempre più lontani, o cessava quasi di fantasticare».
Senza censure né reticenze il libro fa riferimento anche all’aspetto sensuale dell’amore, quello che si esprime appunto attraverso i sensi («dove i sensi sono forme dell’amore pieno») e attraverso un passionale e concreto contatto fisico. Il corpo, i corpi, il loro intrecciarsi, esplorarsi, conoscersi: «Non vedo l’ora di toccarti, / dai genitali agli occhi, tutta la vera superficie / contemplare, mano a pelle, / il viaggio del tuo lungo corpo / che bruciato dal sole e da carezze nuove / attende me».
L’amore raggiunge forse la sua pienezza quando si carica di empatia, quando ci spinge a indossare i panni dell’altro e degli altri, a condividere il punto di vista delle persone meno protette e ascoltate, a comprendere e a prendere posizione. L’autrice si mette dalla parte degli umili, degli emarginati, degli «assetati di giustizia», di coloro che soffrono e subiscono, degli afflitti e dei perseguitati, di coloro che cercano disperatamente un destino migliore affrontando rischi indicibili e perfino la morte.
Con versi di straordinario coinvolgimento che possiedono la forza di un mare in tempesta, Maria Pia Quintavalla ci parla, adoperando un linguaggio intensamente poetico, del naufragio di Augusta, «una delle più grandi tragedie», scrive Sammito nella prefazione, «avvenute nel Mediterraneo, il naufragio del 18 aprile 2015». Dramma, incubo, crudele realtà, «Ora», scrive l’autrice, «questo immenso camposanto è marino, l’assenza di pietà umana ha scelto il colore dell’acqua per manifestarsi».
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