recensione di Renzo Montagnoli pubblicata su Arteinsieme
La speranza
Strano titolo, e non me ne voglia l’autore se dico che di primo acchito mi ha ricordato la pubblicità di certi prodotti dolciari che attirano oggi tanto i giovani, e anche quelli più in là con l’età. Per fortuna niente di tutto questo, perché si tratta di poesia, notoriamente seria, a parte certi sonetti licenziosi di un lontano passato. Ramberti si avvale dei versi per esprimere il suo innato senso etico, una sua religiosità che non è mai un dramma, ma una gioia dello spirito, pur nelle non infrequenti tragedie dell’esistenza.
Nella nostra dimensione la consapevolezza di essere fallaci, incompleti e spesso erranti alla ricerca di un nostro ruolo ci consente di trovare con la spiritualità una via per sopportarci e per tollerare gli altri, anzi per dialogare con loro lungo un percorso terreno troppo breve per far pieno tesoro delle esperienza maturate (L’imperfezione / è il nostro marchio / di qualità / sì noi tendiamo / ad occultarla / addirittura / ce ne incolpiamo / benché riveli / fragilità / non solo nostre / ci spinge ad essere / riconoscenti / a chi ci ama / per come siamo / umili ammassi / contraddittori). Si potrà obiettare che questa profonda convinzione cristiana è frequente nell’autore, ma in fondo qualsiasi poeta che non si fermi a parlare di fiorellini o di fanciulle desiderose d’amore traspone nei versi l’elaborazione dei suoi pensieri più intimi, quella profondità di concetti, di visioni, di scopi della vita che Ramberti ha fatto propri con una religiosità non di maniera, non di aspetti esteriori, ma di sostanza, una religiosità che dicevo non è drammatica, ma gioiosa, perché animata dalla speranza (Prendimi il petto / fallo discendere / dove le ossa / bruciano-accecano / sei pelle e spirito / tu allora spogliati / in modo ingenuo / entra nel fonte / si aprono i cieli / la mano parla / salva e conferma / unge la carne / converte il tempo / lo fa brillare / libera il suono / della conchiglia).
E non è un caso se ho trovato la stessa determinazione, la medesima passione in un’altra silloge (Pianure d’obbedienza), di Marina Minet, poetessa sulla stessa lunghezza d’onda di Alessandro Ramberti, entrambi permeati da una spiritualità che si eleva oltre il formalismo religioso e che è vissuta giorno per giorno, pregio sempre più raro a trovarsi, travolti come siamo dalle esteriorità impellenti della vita moderna.
Forse corro il rischio di andare fuori tema, se già non ci sono addirittura andato, ma sento pressante la necessità, soprattutto dopo aver letto questi versi, di esprimere non tanto un giudizio sugli stessi (e sarebbe senz’altro positivo, considerata la concretezza della struttura, la sua linearità che evita qualsiasi artificio letterario), quanto invece un’opinione sull’autore perché ciò che Ramberti esprime è la sua vita interiore di ogni giorno, è il suo cuore pulsante che riesce a vedere oltre i limitati orizzonti dei più (Gli occhi si staccano / dal cuore quando / il male è ovunque / nella catastrofe / ma a volte colgono / bagliori intimi / si fanno ciechi / per ascoltare / si gela il sangue / ma giunge in petto / il gran silenzio / in cui ti sciogli / così converti / quello che senti / al congiuntivo / che si fa strada). Credo che questi versi sintetizzino al meglio la mia impressione, versi che sento miei pur ovviamente non avendoli scritti io, ma che fluiscono dentro il mio cuore come un gagliardo torrente di montagna che fra mille ostacoli, senza demordere, procede verso la foce, sicuro di arrivarvi.
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