Recensione di Lorenzo Spurio
“Il
faro della notte è il silenzio
e
immersa vi rinasco alla preghiera”
Per i tipi di Macabor è uscita qualche
mese fa la raccolta Pianure d’obbedienza
di Marina Minet. L’Autrice (il cui vero nome è Teresa Anna Biccai) è originaria
di Sorso (SS) anche se oggi vive nella provincia romana, ad Ariccia. Nel suo
portfolio di autrice ci sono numerose pubblicazioni a partire dal lavoro
d’esordio Le frontiere dell’anima
(2006) sino alle più recenti Delle madri
(2015) e Scritti d’inverno (2017). Attiva anche per il genere della prosa con
racconti, romanzi collettivi e narrazioni per l’infanzia.
Il critico Silvano Trevisani nella breve
nota introduttiva al volume ben apre al percorso letterario della Nostra che,
con questa silloge, compie un “itinerario contemplativo”, un appassionato
sentiero tra le pieghe personali affrontate con un piglio meditativo e
catartico nei confronti del sentimento religioso che connatura l’intero volume.
Un sensazionale ed educativo percorso di crescita e di autoconsapevolezza che
la Poetessa compie mediante la rilettura e l’attualizzazione di testi sacri al
cattolicesimo con chiose, rimandi, echi e insegnamenti sapienziali che ora qui,
ora là salgono in superficie nel dettato poetico quali gemme rarissime.
L’atteggiamento della Nostra è quello di
un essere saggio e circospetto che non osserva gli accadimenti in maniera
distanziata e indifferente ma, al contrario, empaticamente partecipa alla
miseria e alla debolezza degli uomini. Lo sguardo, che non è mai da lontano, ma
da vicino su quel che racconta, è solidale e accogliente, teso alla
comprensione dell’altro e all’ascolto privo di pregiudizi.
L’Autrice si rivela e si confessa con la
sua poesia, ricerca i significati inespressi di quel che accade e che non
sappiamo comprendere spesso nell’abitualità del presente così troppo legato al
concreto. La raccolta prevede al suo interno una scelta ampia di testi, frutto
di una cernita della produzione più recente della Nostra, e si evidenzia come
un calco stratigrafico per età, momenti, episodi determinanti del vissuto,
circostanze, fasi dell’esistenza e dell’autoconsapevolezza. Le opere, infatti,
come ricorda la Nostra nella nota incipitaria, sono state scritte in un arco di
tempo di un decennio, che va dal 2012 al 2022. Non è un caso che Trevisani
parli di “catechesi poetica” della Nostra vale a dire di un insegnamento della
religione: l’Autrice è andata approfondendo concetti e implicazioni della
teologia filosofica cristiana come pure della preghiera e dell’agiografia,
campi di studio che l’hanno progressivamente avvicinata non solo
all’insegnamento di Cristo, ma al suo incontro. In “Se mai c’è stato” scrive: «Io non lo ricordo quando tu non c’eri / […]
/ un verbo senza frutto // […] / Se è vero che la Croce racchiude il tuo
segreto / accordami un frammento che dia sopportazione» (17).
La spiritualità effusa nei versi
scantona la liturgia e la professione di fede, il solipsismo e la retorica
confessionale per configurarsi come tensione umana ed etica spontanea, quale
ingrediente fondamento delle giornate della Nostra, è una filosofia del sentire
le cose, l’afflato sensoriale e percettivo che la connette col mondo, sia
quello tangibile e visibile che quello metafisico e assoluto.
L’opera è strutturata in micro-sillogi
interne ciascuna dotata di un proprio titolo (“Le lodi del sentiero”,
“Preghiere” e “Foglie capovolte”); incontriamo testi-preghiera nei quali
l’Autrice si scopre a confronto – a specchio – con la divinità. Ci sono poesie
scritte ad Assisi, spazio del sacro per eccellenza (del luogo umbro scrive: «In questo luogo / la fede è un fiume che
innaffia la sua terra», 28), ma anche a Lerici e dedicate a Sorso, sua
città natale, nel Sassarese. Incontriamo anche le “poesie in tempo di guerra”
dove la guerra si riferisce alla pandemia per Coronavirus che tanti morti ha
falciato e di cui l’esperienza è codificata in forma traumatica nel nostro DNA.
La guerra è anche quella fisica, geopolitica, che si combatte in Ucraina[1].
In “Soldati” riflette: «Le tasche dei
morti contengono niente / l’ultima preghiera ch’era in vita» (35); in altri
testi la disperazione prende la forma di tentativi d’interpello verso l’Alto: «dove riposeremo stanchi / col precipizio dei
cieli sulle spalle / svuotati di ogni lode?» (37).
Con un linguaggio pacato e l’utilizzo di
un lessico piano e persuasivo l’Autrice affronta il problema dell’uomo contemporaneo
(nella poesia che dà il titolo al libro parla delle «crepe dell’uomo», 53, ovvero delle sue vulnerabilità e lacune)
spesso relegato nel vizio e disattento all’altro, lontano dall’ascolto
interiore e improntato alla vanagloria e alla fame di successo. Ne è convinta
quando osserva questo atteggiamento abbastanza diffuso del «chinare il capo all’illusione» (54). A
tutto ciò la Nostra contrappone l’esigenza di una confidenza con Dio,
l’apertura del nostro cuore, la fiducia e la speranza poiché, sebbene «il nostro credere [sia] imperfetto» (48)
la vita va avanti inarrestabile e «L’esistenza
è una spina che non cede» (38). Così anche dopo i peggiori drammi umani «Torneranno sempre i fiori // […] //
Torneranno / come i nostri passi sui crepacci» (57). È il messaggio lucido
e convinto di una certezza di futuro, della salvezza, della rassicurazione che
la bellezza permarrà. Di una resilienza continua e di un atteggiamento armonico
verso la vita.
Nella terza e ultima sezione dell’opera,
“Foglie capovolte”, è contenuta una delle liriche forse più alte, per intensità,
dell’intera raccolta: “Come si ricorda una madre” dove la felice memoria della
figura materna è inscalfibile al passare del tempo, alla distanza e al
silenzio: «come si ricorda una madre / se
rimane ancora fiato di presenza / e il suo nome è una vigna mai appassita»
(69). «È una promessa di presenza, nello spazio sospeso di «stanze vuote che
attendono una visita» (73). Chiude la raccolta – prima delle preziose chiose di
due Papi, Giovanni Paolo II che parla di “contemplazione della verità”, e Papa
Francesco – la poesia-testamento “Quando un giorno” che contiene l’invito della
Nostra ad accogliere la sua ultima volontà: «portatemi gli affanni come dono / saprò tagliarne il peggio limando le
preghiere».
[1] Struggente la poesia “Non so
morire adesso” (41) con la dedica “Lettera al mondo di una madre soldato” dove,
in appendice riporta l’indicazione cronachistica: “Nel conflitto in Ucraina
sono state arruolate circa 60.000 donne”.
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