Foto in copertina di Loretta Zuin Silenzi (per gentile concessione dell'autrice)
It's friday! è una rubrica a cura di Annalisa Ciampalini
Non chiedere al poeta
Non chiedere
al poeta
da dove
salga la sua voce
suoni che
nel cammino
esausto
s’involano liberati.
Sta dentro
versi che sgorgano
sangue per
vivere lo spazio
di un foglio
bianco, oltre
i giorni che
gli son concessi
e gli occhi
persi nell’incanto.
S’aggrappa
limpido il suo cuore
ai nembi
plumbei di cieli immoti
al tenue
ricordo di brune foglie
autunnali,
aliti lievi disciolti.
Lo trascina
incline il tempo
dentro ciò
che fu giovinezza,
e il quieto
ordine apparente
della vita
presente, del peso incauto
di ogni
giorno vissuto e perduto.
Nelle mute
ore, nei muti istanti
da contorte
sillabe scanditi:
fragili
foglie molli appese
ad un ramo e
prossime a cadere.
Fondale d'aria
Notte,
fondale d’aria
da ombre solerti
abitata.
Cela il
vento la terra riversa,
che un
giorno odorava di grano
e la gente
cantava le gesta
all’alba
anzi desta.
Palude di
lacrime sull’acqua verde
di quel che
è solo memoria,
inghiotte il
pioppo e le foglie riarse,
macera
veleni nel trangugiar
quell’otre
dalla bocca vorace.
Parole
chiuse, sepolte nel cuore
di chi era
vivo prima
e saliva il
tempo con la gaiezza
di
giovinezza ridente nel cercare
celato
l’intima alba nascente.
In dolce
esilio amore faceva schermo
alla
mestizia di un tacito passo
a cui male
avrebbe mosso la morte
in apparente
rifugio di dolcezze vestita.
L'esule
Non arretra il tempo.
Il tempo non si ferma,
ma nell’ora congelata
sulla terra bianca e nera
con neve e fango
va scrivendo la storia.
Fra ruggini e rottami
un’anima sola
i grevi suoi passi affida
a una valigia rotta.
V’ha chiuso i sogni
e gli intimi tormenti,
custode del suo andare incerto,
di quelle orme eluse
dal governo della mente.
Si fa presente il tempo cadenzato
da quel passo stanco senza più forma
né disegno, per quella maschera
che nel suo vagare l’esule indossa
e niente cela alla sua antica orma.
Riga una lacrima il suo volto
che carezza il vento e poi disperde,
occhi aperti sul vuoto del domani:
un urlo soffocato in gola
nel cogliere i gesti di ciò che era
dell’eterno silenzio di una notte
scura.
A una madre di Mikolaiv
Di aprile splende la luce
all’aprirsi del giorno
sul prato che inneggia
alla sua tovaglia erbosa.
Non oggi. Non ora.
Sanguina la stagione
sulla terra martoriata
di Mikolaiv, dove l’ultimo
ospedale è caduto in rovina,
dove le mine hanno decretato
morta di corpi piagati
la speranza sanifica.
Stringe al petto ancora Il figlio
perito e il cielo maledice.
Urla il suo dolore, forte,
la madre: non è incubo fugace!
Lacerato è il suo cuore
e non si dà pace.
Fondo è il giaciglio e la pietra
che lo copre troppo dura.
Si perde la sua voce … sola,
alta si leva nell’angoscia,
ma nessuno l’ascolta.
E più di tutti è la morte sorda!
Nella notte salgono dal baratro
memorie di chi piegate le ginocchia
l’ultimo fiato di vita ha esalato.
Nuda voce che dall’abisso del terrore
nessuna parola ha violato.
Pietà del tempo di resurrezioni subite
da povere creature cadute;
non hanno più respiro le cose,
né l’uomo più sa, né dolora.
È suo il cuore dalle vene aperte
chiamato a nutrire la terra
e quello che fu solo un lamento
è canto di foresta elevato
dai suoi occhi di erba.
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