Paolo Polvani, Miracoli del giorno, Prefazione di Massimiliano Damaggio, postfazione di Isabella Bignozzi, Macabor, pp. 64
recensione di Giancarlo Baroni
«Se devo scrivere poesie ora che invecchio», confida Antonella Anedda in Salva con nome, «/ voglio vederle scorrere, perdersi in altri corpi / prendere vita e nel frattempo splendere sulle cose vicine». Potremmo forse usare questi versi come epigrafe alla recente raccolta di Paolo Polvani intitolata Miracoli del giorno (Macabor, 2023, p.64). I “miracoli” a cui si riferisce il titolo e che accendono le pagine del libro sono vibrazioni e incantesimi quotidiani, «sussurri, epifanie, rivelazioni», lampi che rischiarano il buio che ci circonda, dei salvagente lanciati a chi rischia di non farcela, dei gesti di gentilezza verso il prossimo, delle briciole di generosità utili a non smarrire la giusta strada. I miracoli del giorno non prevedono scelte eroiche, eccezionali e fuori della norma, hanno a che fare con il particolare e non con l’universale, si propongono obiettivi concreti e realizzabili. Difficile non essere d’accordo con Pablo Neruda quando in Ode all’invidia promette: «Scriverò non solo / per non morire, / ma per aiutare / gli altri a vivere». E questi “altri” non hanno, nella scrittura di Polvani, nulla di generico, vago e indefinito ma assumono di volta in volta una identità precisa, un volto e un corpo. Nei versi dell’autore l’altro non è mai straniero ed estraneo, non è diverso e distante. Precisa nella Postfazione la scrittrice Isabella Bignozzi: «Paolo Polvani ha delineato un percorso poetico in cui tutto è pervaso di miracolo, perché ancora la generosità può salvare vite, il cuore distendere cortesie inattese, l’attenzione al creato aprire nuove armonie e limpidezze». Aggiunge nella Prefazione il poeta e traduttore Massimiliano Damaggio: «E profondamente, “realmente” cosa fra le cose è la poesia di Polvani, nel suo stupore di essere al mondo, di muoversi e ritagliarsi fra creature simili, analoghe, o differenti, ognuna espressione della macina della natura».
Di solito ci rivolgiamo ai Santi (intermediari fra la terra e il cielo, fra Dio e l’uomo) quando abbiamo bisogno di un sostegno, di un aiuto, di un miracolo che ci tolga da una brutta situazione, che ci salvi da una minaccia e da un guaio, che ci guarisca da una malattia. Santi e Angeli sono i protagonisti della prima sezione del libro dove incontriamo per esempio San Giuseppe da Copertino che «salva un migrante in procinto di annegare sollevandolo in volo», Sant’Eupremio che «aveva nel cuore i muratori, / avvezzo alle impalcature e alle vertigini», Eufrasia «una vecchia santa piegata dagli acciacchi, / provata dagli affanni», un Angelo «furente» e un altro che sfiora «tutti con un bagaglio di splendente amore», Santa Ildegarda la quale veglia «su questa nostra solitudine»…
È però la seconda parte, intitolata Quanto sole ci vuole («e quanto / mi mancherà, un giorno, una notte, / di tutto quel sole che non ricorderemo») ad attribuire al volume la sua fisionomia più precisa, a rivelare al meglio la sua essenza. È qui che l’umanità dell’autore si esprime in tutta la sua ricchezza miscelando compassione, condivisione, vicinanza, partecipazione, solidarietà, rispetto, stima, comprensione e affetto principalmente verso i più disagiati e miseri («La povertà non ha voce, in tanti / aggrappati al silenzio, ed è tutto / quello che hanno»). Polvani sa da che parte mettersi, da quella degli umiliati, dei sofferenti, degli angariati, degli sfruttati, dei maltrattati e più in generale della gente comune che in un miracolo del giorno qualche volta ha sperato; il suo io di scrittore non resta chiuso e sigillato dentro sé stesso ma, in questa come nelle precedenti raccolte, si apre e si spalanca all’altro, agli altri, identificandosi parzialmente nelle loro vite reali o immaginate, nelle loro storie. La parola di Polvani è sorretta da una benevola e proficua empatia, è capace di immedesimarsi. Conferma a questo proposito Isabella Bignozzi: «Polvani è poeta di ampio sguardo […] riesce a indossare il sentire di molte creature, finanche vegetali; di elementi naturali apparentemente inanimati».
L’autore si muove nelle pagine con una eleganza non ricercata, con naturalezza e allo stesso tempo con esperienza, con una agilità frutto di lavoro e dedizione, con «il gusto della cura, dell’attenzione, dell’amare».
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