L’audace avventura del poco
breve nota di Claudia Piccinno su
Rita Pacilio Così l’anima invoca un soffio di poesia - poesie scelte – Marco Saya edizioni
Prefazione di Vittorino Curci
Pubblicato a maggio 2023 questo volume raccoglie opere scelte pubblicate negli ultimi 20 anni, ordinate dalle più recenti alle meno recenti. Lo stile è sicuramente più evoluto rispetto agli esordi ma ha mantenuto tutte le promesse.
Come afferma Vittorino Curci: “ la sua poesia è ricca di gamme figurali tornite con maestria, di stilemi ritmici lessicali e sintattici che corrodono e sfaldano i confini della lingua allo scopo di capire quanto sia reale l'invisibile.”
La poesia di Rita si sofferma sui piccoli grandi dilemmi del quotidiano, sul disamore di una madre verso la figlia, sulla difficile gestione dei malati psichiatrici, sui rapporti interpersonali e coniugali.
Sicuramente la sua esperienza in campo sociologico le ha consentito un allenamento empatico ed una osservazione partecipata alle sofferenze dell'animo umano, ma se non avesse avuto il talento di tradurre in versi questo suo sentire si sarebbe limitata a scrivere la cronaca di ordinari dolori.
Invece la sua Vis poetica si impone con una creatività lessicale e sintattica non comune e a mio avviso raggiunge l'acme nella raccolta Quasi madre.
Cito in ordine sparso alcuni versi tratti da Quasi madre e da Le venature della viola e credo che si possa ravvisare anche in Rita quel poco Sacro di cui scriveva Pasolini e che la sua anima vive come un'audace avventura.
Non mi dilungo in congetture esistenziali, ma condivido col lettore l'eco che questi versi propagano in me.
L’assenza ti ha mischiato al silenzio a tu per tu con l’erba sommersa campagna che occhieggia alle caviglie resilienti senza timore della mescolanza, segno stampato sull’anima travasata in mezzo alla mano durante la risacca.
Sdraiata in mezzo ai prati o sul divano in attesa di un miracolo giuri all’erba soffice il chiasso dei petali
Ci vuole fegato per fingersi vivi, entrare e uscire dal vento che trasalisce.
La osservo come una sconosciuta le mani così fragili, così vaghe muovono saggezze antiche.
Benedico anche la notte le radici amare e quelle che portano nomi stretti in mano.
Potessi ricordare una carezza quel poco amore che era tutto per raggiungerti. Potessi smettere di sentire l’odio che agiti nella testa vecchia, mi chiami tre volte, mai con il mio nome.
non torna indietro l’amore che non mi hai dato. Tutti a ricordare le braccia della mamma ma tu con me sei madre e forestiera insieme. Mi scorre sul viso la vergogna su tutto il dolore cade il silenzio. Non dico niente quando non mi vedi quando mi neghi un bacio e lo fai apposta.
Dunque tocca a me tornare all’origine affrontare la barriera dell’orgoglio scongiurare che lo squalo mesto e sordo possa ingoiarmi intera.
Non serve a niente arrivare in anticipo cercare di piacerti un’altra volta. Ci provo da quando ero bambina nel catino freddo di nonna da cui uscivo più piccola e più bianca. Lascia perdere, non è così che diventi fiume! Ma io scorro senza tregua, senza consolazione ed è incredibile quanto oceano sia diventata nel vetro scuro dei tuoi occhiali se ogni giorno appaio povera, profanata.
Senza sentimento umano sei stata luce incerta, il brivido plurale adesso mi guardi in cerca dell’amore primitivo. Fingo un suono melodioso, possibile. Compongo l’apparenza di un abbraccio a doppio fondo mentre da dietro mia figlia è la chiarezza ritornata.
Benedirò le voci che passano nelle nuvole per ricordare che non potrai tornare indietro nemmeno nei legni intagliati, saperti a piedi uniti e con le spalle appoggiate.
Sai dire le bugie quando vuoi morire ma siamo noi figlie a fare i conti con te a sopportarti da morta nella vita stringendo tra le mani ogni lamento.
***
Pensi mai al parto delle api, alle mani giunte dei gelsomini in fiore? Se sento l’allegrezza delle cose che crescono forse è tutto: sono troppo vecchia per odiare il mondo.
L'incomprensione sezionata nelle ipotesi ha aperto cellule al gambo scuro. Pugnalata dal discorso sul futuro talvolta è caduta una foglia.
Voglio esiliarmi in un giardino dove le burrasche restano fuori dove sulla bocca di tutte le viole c’è l’audace avventura del poco.
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