venerdì 14 aprile 2023

Versi oltre la superficie… il paesaggio mobile dell’esistenza

Come terra ferma (FaraEditore 2022) 


Recensione di Francesca Bavosi




Andare a caccia delle “pietre buone/ per le fondamenta del muretto” può occupare il tempo di una vita. Come la lepre anche l’uomo cerca la sua roccia per farne una tana e si chiede cosa sia stabile, cosa invece si muova, cosa si trasformi e cosa persista.
È una domanda totale, una ricerca esistenziale e spirituale, che si fa più forte nei luoghi e nei momenti di passaggio, come il paesaggio marchigiano di colline e montagne stravolte dal recente terremoto. In questi e di questi luoghi e tempi scrive Matteo Bonvecchi in Come terra ferma.
In questa silloge poetica, seconda classificata al FaraExcelsior ed edita da FaraEditore nel 2022, si intrecciano con accuratezza ed equilibrio la visione che nasce dall’esperienza di un territorio alla comprensione di chi di quel territorio conosce la storia. Vita vissuta e studio si traducono in versi densi e ponderati, che offrono più punti di osservazione, che aprono domande, che invitano a una riflessione oltre la superficie di quanto ci circonda.
Con “la pazienza di piccoli passi” l’autore accompagna il lettore a visitare “un posto che sembra esserci stato da sempre”, in cui i segni della presenza umana - le torri di guardia, un giardino che “fiorisce ovunque di bulbacee di gigli e narcisi gialli, posate chissà quanti anni prima”, “il carcere in basso” - , si mescolano alle essenze minerali e vegetali, a un paesaggio fatto di boschi e ruscelli dove “la solitudine schiude/ di luce la prima neve”, fatto di “anfratti delle rupi/, “di pietra rude/ per riparo”.
“In questa strettoia della storia” al poeta, che guarda e si interroga, si rivela quasi impercettibilmente “quanto invece il mondo sia cambiato”. Arrivano “essenze pioniere/ a rifare il bosco”. “Gli idoli crollano, tutti, deludono”. Il paesaggio che porta i segni di una civilizzazione antica si mostra così “come terra/ ferma di tellurica memoria,/ ambiguo sempre/ quant’è ambiguo il reale”. Anche la roccia si rivela precaria nella sua essenza.
Eppure l’intuizione della dimensione provvisoria del creato si fa lievito e accade “un lavoro di molatura/ dentro. Come il pane”, si possono immergere “gli occhi nel simbolo, assai/ più reale di ciò che tu/ chiami reale”, il “tormento della ferita si fa varco”, “grazia/ d’un sogno più grande”, “la possibilità stessa/ del tuo volo”.
Nella trasformazione è racchiusa la persistenza del mistero.

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