Corrado Bagnoli, La casa visitata, puntoacapo 2021, Postfazione di Alessandro Pertosa
recensione di AR
I 7 quadri, splendidamente illustrati da Alessandro Savelli, che compongono questa raccolta già suggeriscono di quale visitazione si tratta. Iniziamo con “Genesi” in cui l’autore ci catapulta all’inizio di tutto: “perché l’unico modo di essere / dentro quello che prima di noi / è stato detto è tradire, dire / di nuovo, ma con la nostra voce.” (p. 9); “Così vasta è la nostra vertigine / sul precipizio dove la terra è / informe e vuota. E l’abisso è / ricoperto da un buio attraversato / solo dal caldo, dalla parola che / sovrasta e soffia dentro questo / iniziale, reciproco smarrimento / che non è ancora luogo, non ha / un segno, un limite – dove? – / che gli dia un nome, lo ritagli, / lo faccia essere già cielo e terra” (p. 10). Versi bellissimi che ricreano la creazione e ci ricordano come la parola poetica possa umilmente, luzianamente, volare alta. Al secondo giorno troviamo: “La linea che separa non viene / detta, nessun soffio, piuttosto / un gesto: portare sopra la mano / e sotto, radunare le acque. Dopo / dare un nome: il cielo, finalmente” (p. 12). Al terzo giorno il mare “lascia emergere l’asciutto, terra / buona di germogliare, dare frutti”. Al quarto abbiamo “un ordine, una sintassi luminosa è / adesso il tempo che misura cielo / e terra. Vivere adesso è restare / dentro questo ritmo, …” (p. 15). Al quinto giorno: “Uomo e donna, insieme, porteranno / in giro le parole con cui chiamare / il mondo. …” (p. 18). Mentre al sesto siamo invitati a “Respirare l’ora, la vita intera, / (…) / in bilico tra cielo e acque e terra” (p. 19), e al riposo del settimo giorno Bagnoli incastona “… un sigillo, una benedizione. / (…) / un Figlio si annuncia, già nasce” (p. 20). Questi pochi stralci testimoniano la potenza sobria ed efficace di una versificazione che narrando crea, ovvero si fa poesia, ci avvolge e ci stimola, ci trasporta e ci emoziona, ci provoca e accarezza.
Il secondo quadro, “Annunciazione”, è scandito in stanze per lo più di nove versi: “Ancora una volta è l’inizio, / un vortice che parla prima / delle parole, fluire di una luce” (p. 27); “Potrebbe avvolgere, distruggere: / nell’aria sembra invece sciogliersi” (p. 28); “Ma per dire sì non basta avere / ascoltato la potenza della luce: / l’ala risuona insieme d’ombra / che si stende già dietro di lei” (p. 31); “Lei ora è la casa, gloria di un altro” (p. 32). Anche qui notiamo la capacità visionaria che ci fa convibrare con le varie scene in cui ci sentiamo immersi. E così nei quadri successivi.
Da “Non era più notte” abbiamo la descrizione di una Natività che già preannuncia la croce: “Il manto, largo per terra, si alza poi come un tronco, / le pieghe come segni di un legno morbido / che salendo si affusola un po’. Poi, come un nodo, / una ferita lasciata da un ramo caduto, si apre” (p. 49).
La “Crocefissione” è costituita da quattordici stazioni di nove versi. Alcuni lacerti: “Dove sei, dove sei andato ora? / Noi precipitati ancora dentro / una morte che tira giù il cielo” (p. 60); “vai via, ci rimane solo un legno, / (…) / E il corpo solo carne schiusa, / straccio sudicio di morte” (p. 62); “resti appeso – nuvole con dentro / una scura, diversa stella ti legano / le braccia e i polsi, caviglie e cuore” (p. 63).
Nella “Deposizione” abbiamo nove stanze di nove versi. Citiamo dalla settima: “Abbandonarsi, tornare lì dove tutto / era cominciato, misericordia ancora / capace di dire sì a lui: nato, cresciuto, / andato via e di nuovo lì, dentro di lei” (p. 79).
Segue la “Resurrezione” scandita in otto stanze di undici versi. Anche qui citiamo dalla settima stanza: “La luce ancora non lo abita. Accade / ancora la fatica, un’epifania di scuro / (…) / da non dimenticarsene e portarselo / sulla schiena e dentro gli occhi dopo, / ogni volta che un sospiro gli arriverà / davanti, una preghiera, una bestemmia, / un grido dalla polvere, …” (p. 93). Una resurrezione descritta un attimo prima dell’evento glorioso, che riassume con un coinvolgimento viscerale il mistero dell’incarnazione.
Dall’ultimo quadro, “Il cinquantesimo giorno”, citiamo dalla stanza iniziale (p. 99): “… Tommaso / è insieme agli altri con Maria, la casa / ormai non basta, dice lui. Che è quello / delle piaghe e del costato e che adesso / non gli bastano neanche loro: come fa, / adesso che se n’è andato in cielo, / a stargli vicino, a stargli attaccato / al suo maestro, al suo respiro che / era aria che, senza, adesso, non respira; / ai suoi passi che, senza di lui, adesso, / non si cammina. …”. Avvincente il ritmo sincopato, mirabile l‘abilità di introdurci nel Cenacolo all’arrivo dello Spirito, di “un’aria / misteriosa che li porta, che li spinge” (p. 103).
Questa Casa è un’opera di grande maturità e intensità; c’è la storia di una vita sempre pellegrina e in cerca ma che si sente, per grazia, sempre, a volte misteriosamente, visitata, come osserva Alessandro Pertosa nella fulgente e perspicua Postfazione, “dal fuoco dello spirito, dalla luce che filtra e detta la lunghezza del verso” (p. 109) e “penetra all’interno, illumina la polvere che si alza dentro di noi e si raduna in nuvole. Ed è questo il farsi della coscienza e delle sensazioni. Così come il farsi dell’universo, dei cieli, delle acque che fuggono dal nulla – dall’ombra in cui si trovano – per confluire in un’unica casa” (p. 110).
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