mercoledì 8 giugno 2022

AIΩN di Mario Fresa (17)

AIΩN di Mario Fresa

Diego Conticello

Lo sguardo, la sua ferita acuta 





*

Pareidolia

 

 

Tempi erano quelli

di pura sopravvivenza

quando la vista

scorgeva tra forme inanimate

profili predatorî

che l’occhio primitivo più non

distinse dai vivi.

 

La prima paura artificiale

fu pertanto un’ipercorrezione

ad aumentare la certezza di non

perire, un pericolo vuoto

a infoltire la schiera

del terrore.

 

Oggi, caduti gl’idoli, pare

rimanga a monito

di una incompleta evoluzione,

 

un buco tra tanti nella mente.

 

 


Commento.

Una visione allarmata, che nello scorcio di un tempo indefinito o paradossale fa misteriosamente emergere – inquieta e sconvolgente illuminazione  l'immagine ancestrale di un ricordo (o di un miraggio?) di tenebrosa ambiguità. Ciò che si è visto, o intravisto, o sognato, nella sospensione di quella mitica e perduta cornice temporale, parla di una remota pareidolia tanto ineffabile quanto minacciosa, dove "tra forme inanimate" si palesano, come inattese apparizioni del nulla, "profili predatorî" vicini al sonno cupo della morte o della distruzione.

Così Diego Conticello (Catania, 1984), poeta tra i più fini della sua generazione, delinea potentemente, in questo inedito, i confini di un oscuro paesaggio d'ombre che ci mostra l'intera vita come un' immensa catabasi luttuosa, già tutta segnata (anzi, di più: ferita) dal limite opprimente di una "incompleta evoluzione" : un paesaggio, ben inteso, dal quale gli stessi Dei sono fuggiti da tempo immemorabile e che ci appare fermo per sempre, e insalvabile, e vinto. Resta soltanto, nei versi, il sentimento di un afasico vuoto che a noi stessi rivela, come un ombroso messaggero, l’impermanenza buia del nostro (non) essere qui, e l’inane materia di cui è fatto il nostro breve viaggio comune; e ogni pensiero o desiderio non è che un’orma prontamente abrasa: “un buco tra tanti nella mente”.

Una poesia, dunque, dallo sguardo estremo, che s’attorce dolorosa su sé stessa e che, alla fine, sembra mirare il mondo (scivolato nella dissolvenza di un crepuscolo non più frenabile) dal fondo di un immisurabile teatro di rovine. 

 

 

[In alto, un' opera di Corrado Cagli, Milarepa, del 1967].