Fabrizio Boscaglia, Il ritorno dell’anima
Prefazione di Luca Pizzolitto
Ladolfi 2021
recensione di AR
Amo la versificazione intensa e sobria che rende, con pudore e discrezione, sonori i luoghi bui dell’anima e lascia al silenzio lo spazio dovuto a ciò di cui, seguendo Wittgenstein, è bene tacere. Nella sezione “Bagliori” che apre la raccolta, la seconda poesia (p. 16) può essere considerata una dichiarazione della poetica dell’autore: «Tastare luce / con altre mani, / con altri nomi. // Salvare un attimo, / e trarre al cuore / la ricca pesca / dei giorni.»
La “luce” è indeterminata e abbinata al verbo “tastare” crea un vibrante ossimoro, come il successivo in cui “un attimo” è abbinato a “la ricca pesca / dei giorni”. Ecco, siamo subito calati in una dimensione poetica attenta a quanto sfugge alla volontà di possedere/controllare/schematizzare o rimanda tout court al soprasensibile, a un senso di cui le parole sono appunto bagliori quantisticamente imprendibili e capaci di entanglement. E qui sta il loro fascino (p. 17): «Come le foglie bagnate dal sole / son le parole d’un Messaggero, / (…) // Un soffio di vento / scuote e passa. // (…)»
Siamo fatti di carne e di spirito, c’è in noi una impronta divina che ci informa e ci ravviva: «Una traccia di / spirito / che la carne / non può / cancellare.» (Ricordo, p. 22); «In tutto c’è una luce, / una potenza, / un raggio di sostanza.» (p. 24). C’è una energia unificante che ama e attira, ma spesso ci accontentiamo di “scampoli” come recita l’icastica poesia a p. 29 che abbiamo scelto come titolo di questa recensione.
La seconda sezione, “Foglie”, si conclude cona una poesia provocante e al contempo liberante (Colpa, p. 40): «Il flusso / intrappolato / nell’errore / d‘aver preso / la paura / per custode.»
La terza sezione, “Ritorni”, si apre con una splendida definizione del lavoro poetico (p. 43): «Pezzi di parole / rotte dal tempo / tremano dentro.»
In effetti il poeta è sempre sulla soglia, le sue parole sono frammenti, bagliori, foglie che hanno bisogno di vita, per quanto effimera, di un vissuto, di un grumo pulsante di relazioni per fare musica, per avere una consistenza, una cassa armonica in cui lo spirito possa insinuarsi per farle viaggiare in luoghi altri, per farle andare oltre il tempo.
La quarta sezione, “Gocce”, ci aiuta ad aprire gli occhi su una bellezza latente che a volte, presi da noi stessi, non riusciamo a vedere (Alzo la serranda, p. 56): «Dagli alberi cadono / pennellate di cielo / sul mattino.»
Nella sezione successiva, “Partenze”, abbiamo un Addio (p. 65) che è un mistico legame che congiunge lasciando liberi: «Ti perdo, infine, / per giungere alla / mia assenza. / Aspettami lì.»
La penultima sezione tramonta su un “Occaso”, inizia infatti con Crepuscolo a Lisbona (p. 69) di struggente intensità per le immagini e metafore visionarie che costituiscono una vibrante e fulminea mise en abyme, sempre nel nitore attento e discreto che caratterizza il poeta torinese: «Ora la città è / una candela / che scalda il nudo / palmo del cielo.»
La settima (il 7 è il numero della completezza) ed ultima sezione si intitola “Abbandono” da cui traiamo la quartina di un Rubā‘i (p. 79, con lo schema di rima AABA e l’ottima scelta del verso italiano per eccellenza, l’endecasillabo) che ci immerge nella mistica dei sufi: «Governa l’Amato su pianto e riso, / manda di là da inferno e paradiso. / Or questa coppa è colma di vino, / ma niente resta, solo il Suo viso.»
Questa raccolta è dedicata a Davide Trasparente il cui cognome risulta elusivo e invitante, comunque, ci pare, in sintonia con il sufismo, visto che il nome Davide, in ebraico, significa l’Amato.
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