Da quando non ci siete di Stefano Bianchi
Prefazione di Alessandro Ramberti
Fara Editore
Recensione a cura di Anna Taddei
Un canto nostalgico, nel legame tra l’uomo che è, e il fanciullo che è stato; ricordi, sensazioni, emozioni che, come in una corsa, ti rubano il fiato in un enjambement. In Da quando non ci siete, Stefano Bianchi scrive d'amore, d'infanzia, di memorie e del tempo. Ne parla attraverso il sole, le scale, la battigia del mare… E la neve, che ricorre tanto spesso tra i suoi versi; immagine evocativa e calzante, e contemporaneamente mozzafiato.
“Il tempo cade a fiocchi piccoli come la neve / che se lo lasci fare / stende una coltre spessa quanto l’oblio / sulle cose che crediamo importanti.” (Il tempo)
Quante volte accade che nella fretta della miriade di impegni quotidiani ci si dimentichi qualcosa che un tempo era determinante: da un incontro con qualcuno perso di vista a una tradizione d'infanzia. Il tempo come entità che scorre, in modo silenzioso e perpetuo, e cancella eventi, visi, relazioni… talvolta in modo gradito, talvolta meno. Quando è accaduto che svegliarsi il mattino di Natale ha perso la prima volta la magia della fanciullezza, che fermarsi a rifletterci ora è diventato addirittura tempo perso. In silenziosi strappi alla routine quotidiana, entrare tra le pagine di Da quando non ci siete è un ritorno a memorie forse coperte da uno strato di dimenticanza, un ricordo rivissuto d’infanzia. Tra citazioni di autori, da Ungaretti a Cardarelli, i versi ti cullano in fanciullezza passata, per poi spingerti a riflettere “È in un momento o poco a poco / che si perde di vista il tempo?”
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