(canzoniere d’amore 1988-2018)
nino aragno editore 2019
recensione Subhaga Gaetano Failla
È impossibile parlare dell’amore, è
impossibile parlare di una esperienza estatica. I poeti e i mistici sfiorano il
paradosso, nell’approssimarsi a dire l’indicibile, nell’evocare un ossimorico
“attimo eterno”.
Ottavio Rossani ha pubblicato da pochi mesi,
nell’elegantissima veste grafica di nino aragno editore, questo suo canzoniere
d’amore lungo trent’anni, che raccoglie cioè poesie che vanno dal 1988 al 2018.
Il libro è diviso in quattro sezioni: canzoni, racconti, richiami, sipario. In
epilogo è inserita una lettera di Giuseppe Conte che impreziosisce
ulteriormente il volume.
Al termine della mia lettura contemplativa di
La luna negli occhi – i versi di
Rossani mi hanno accompagnato, solitario, su una spiaggia del Tirreno toscano –
sono rimasto particolarmente colpito dalla ciclicità
di questo libro emozionante, che accoglie i primi versi e gli ultimi come
in un ritmo circolare destinato a ripetersi per sempre. Nella prima poesia del
libro leggiamo:
precipitare nel
tuo profumo
senza condizioni.
Qui subito cogliamo la vertigine
dell’evocazione dell’indicibile. Perché nell’amore il soggetto si dissolve, non
c’è più nessuno che possa dire io,
nessuno che possa parlare, dire o poetare. In quel “precipitare” del verso di
Rossani, intuiamo la sparizione dello spazio, o meglio, intuiamo la mancanza di
un limite e di un qualsiasi appiglio razionale. La nota affermazione di William
Blake:
“Se
le porte della percezione fossero purificate, tutto apparirebbe all’uomo come
in effetti è, infinito” ci guida sui sentieri appassionati, tra cielo e terra,
dei versi di Rossani, dove i sensi sfavillano talmente fulgidi da purificarsi
nel fuoco d’amore, echeggiando il senza limite, l’infinito. La luna negli occhi ci accompagna nei
bagliori di una sensualità vissuta tra le strade di Parigi (“sei apparsa nella
luce di Parigi”) e gli squarci mediterranei, nei ritorni consueti del Poeta tra
ebbrezza di salsedine e antichi ulivi danzanti. Sentiamo la risonanza di una
immensa pace, del nulla pulsante, senza spazio e senza tempo.
E
come nella prima poesia lo spazio svanisce, nell’ultima, a chiusura di un
cerchio che non ha inizio o conclusione, anche il tempo si dissolve, e l’eterno
attimo d’amore svela la grande finzione della fine, della morte, e rinasce
interminabilmente la speranza di una ineffabile gioia:
La luce salvifica
della mente,
planando sopra
l’enigma del morire,
dal rancore ha
saputo estrarre
una leggera
crescente speranza.
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