venerdì 28 febbraio 2020

“Ed io che sono?” – sul senso del vivere e del morire

Cari amici,

mi permetto di inviarvi una riflessione sulla “vicenda coronavirus”, una emergenza che mette a nudo una emergenza ben più grave, quella di avere perduto il senso del vivere e del morire.
Che questa esperienza sia – almeno per alcuni (me compreso) – l’occasione per rimettere a fuoco 
la grande domanda esistenziale che si faceva Leopardi: Ed io che sono?
In caso contrario diventerà anche stavolta l’ennesima situazione in cui invece di crescere, impoveriremo ulteriormente la nostra statura umana.

Un caro saluto a tutti



Il coronavirus: che ne sarà del nostro viaggio?

Il secondo millennio aveva bisogno
di un nuovo imperatore e ha incoronato un virus.
Certo, il coronavirus incute panico e paura,
ma ciò riconferma che, pur confutando Dio,
senza idoli nessuno sopravvive!

A noi moderni piace che tutto sia sotto controllo,
presunzione che si ripropone come un inganno:
basta un nefasto invisibile per mandare tutto all’aria.

Chiuse scuole fabbriche aerostazioni e chiese,
ore di fila per saccheggiare i grandi magazzini,
barricati in casa come ci avessero internati.

Assaliti da una insicurezza esistenziale
esorcizziamo l’imprevisto, non lo si accetta
e montalianamente angosciati ci chiediamo:
che ne sarà del nostro viaggio?

Sempre più inconsapevoli della nostra finitudine
ci assale il timore di un ospite inatteso.
Non ci è più familiare la morte, va rimossa.

L’unico antidoto alla paura che ci assale
è tenere aperta la domanda leopardiana
sulla vita – Ed io che sono? –  cercando
una risposta di senso al destino che ci attende.

Può esserci di aiuto, nel silenzio delle case,
riascoltare il suono delle campane
ora che le nostre chiese sono vuote.

Nessun commento: