Alberto Mori, Levels, Fara
recensione di Maria Grazia Martina
La formula poetica del DIREZIONALE AMBIENTE, del luogo, habitat delle parole isolate e intelaiate in schemi di senso, che Alberto Mori in Levels
scorge e scrive, combina attese ed intrecci.
Un circuito apparentemente sganciato da percorsi evocativi, in realtà, verso dopo verso, va concludendo una piccola storia: parola, percorso, senso.
Agganci dallo sguardo fine, sottile, attento agli elementi segnalati dall’agire, dall’andare, dal muoversi e padroneggiare una materia umana, urbana introversa e disincantata.
Parola dopo parola, il poeta entra nel/nei mondo/mondi dell’altro/altri per farsi illuminare!
Sì, la materia prima si trasferisce nel senso della parola: una materia informe, prima di tutto umana, tangibile, fatta di forza quotidiana, di gesti ripetuti,
insignificanti, ma che pur generano nella ricerca – perché di ricerca si tratta – del poeta spazi, livelli pluridirezionali, capaci di formulare e contenere
“ambientazione” poetica.
Frammentazioni ricomposte, assemblate, meccaniche, e tuttavia umane: “Lo scritto resta a perire sulla ciclabile.”
Inerzia – assenza – silenzio – traccia – aria
Parole inafferrabili disegnano il tempo, la continua riflessione/ossessione e viceversa proprio come nel rapporto di forze tra la chioma e la radice, tra chi arriva e chi parte: “Dove sticker non incolla &scrosta / il millimetro mancato sillaba”.
Come “Le luci affiorano vicine e lontane” così ogni equilibrio, ogni livello trova la sua anima in un potente e dolce contrasto di forze.
Nella scrittura di Alberto Mori c’è sempre un’apertura e una conclusione. Un gioco alla pari tra ciò che evoca e ciò che è evocato.
Un instancabile susseguirsi di parola “unica” microcosmo semantico e
ampiezza di se stessa: la normalità che sorprende, apre, crea affabulazione
senza affabulare in “Millimetri di spazio” il “Sapore del cielo”.
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