mercoledì 17 luglio 2019

“… anch'io sto facendo naufragio”

Michele Brancale, L’apocrifo nel baule, Passigli 2019

recensione di AR



Una scrittura che sa scoperchiare con la curiosità adolescente antichi bauli, recuperare una raccolta “nascosta” di autore anonimo (un parente?)  dalla copertina avorio  un po’ ammuffita e intraprendere un viaggio in versi scandito da queste sezioni: “Guerra e pace”, “Adolescente rimandato”, “Lo sguardo degli amici”, “Il paese”, “Spadarea”, “Satire e ritratti”, “Primi approcci con l’editoria (i morsi della fame)” e “Per fede e per amore”.
Si spazia dagli eventi bellici del secolo scorso alla contemporaneità, da salaci ritratti di paese a poesie liriche, da nostalgiche riflessioni sul vivere ad autentiche preghiere. Il poeta sa dunque calarsi con partecipazioni nelle suggestioni tratte del baule, e farle sue, anzi nostre perché c’è sempre una forte capacità affabulatoria (con note umoristiche, satiriche o tragiche) ad avvolgere il lettore: “Il corpo sparso prese il nome di Disperso” (Al disperso, p. 19); “Quando il maestrale spinse all’improvviso / un temporale su di noi, scendendo / sulla nostra stanchezza accovacciata / nel sonno, i gabbiani volarono via” (24 dicembre 1944, p. 20); “Sembra oscillare la scuola / e per associazione si finisce / per pensare al tremore della gente” (Ricordo di persona lontana, p. 55); “È connaturato al senso primario / della ricerca lo scavare a fondo / (…) / che non ferma il tarlo dell’incompiuto, / dal quale emerge il sentimento di Dio” (All’amico, p. 87). 
Come queste sporadiche citazioni lasciano intravedere, il “suono” di Michele Brancale è volutamente dimesso, accessibile, a volte giornalistico e aneddotico, ma sa scavare nel profondo dell’anima caverne infinite dove echi inquietanti, per quanto impercettibili, ci mettono in fibrillazione, ci smuovono e ci commuovono, come ad esempio ne La fine della favola (p. 88) che chiude il libro con una intensissima e musicale scena di morte che ci ricorda il Bergman in bianco e nero:  “Guardo la nonna distesa in silenzio / (…) / C’è questa posa, / accanto a lei, la certezza che quanto / resta del bambino che l’ascoltava, / quanto in lui resta di disponibile / a credere ancora alla forza dei sogni, / è in quel nuovo sorriso che scorgo / tra le sue rughe, suo suo volto assorto: / è nella favola che lei si porta via”.
Mi piace concludere con le parole che Roberto R. Corsi pone in fondo alla sua perspicua e invitante Prefazione (p. 9): “possiamo dire che ‘apocrifo’ (cioè, etimologicamente, nascosto) qui non si contrappone a ‛ispirato’.”

PS Come titolo di questa recensione ho scelto le ultime parole de La missione di guerra (p. 22).

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