mercoledì 3 dicembre 2014

Su La rosa dei tempi di Michele Brancale


 
Passigli Poesia 2014, prefazione di Gianni D'Elia

recensione di AR

L'incipit di questa compatta e intensa raccolta (finalista al Premio Camaiore) ci offre una sintesi poetica efficace e affascinante del percorso  (liturgico e umanamente impegnato) che attende il lettore: «Mi sposto nella città ma attraverso / il tempo. Lo vedo dal parabrezza / lo stesso luogo che è cambiato e sembra / uguale, quel limitare conteso / all'intorno  dagli alberi cresciuti, / dalle facce rinnovate, mentre / a volte appesantite dall'incuria / e dalla scansione dell'orologio / sembrano chiedere un po' di sollievo.» (p. 11)

Questi endecasillabi eleganti e sobri, si insinuano presto sotto la superficie, ci riversano nell'anima domande di senso che sono implicite risposte aperte al mistero che ci chiama a vivere in pienezza la nostra umanità. Consideriamo un passaggio delle terzine incatenate che introducono la sezione “Primavera”: «(…) L'esistente / reclama la verità, lo stridore / che il lungo tempo della Quaresima / mette in evidenza perché l'amore / dissipi la morte. Infatti spasima / anche la natura in questa battaglia / che è migrazione. Al pascolo ansima, / salendo, il gregge verso i monti. Taglia / il pastore con lo sguardo il percorso / da compiere: oltre il recinto boscaglia? / Fa bene a volte provare il rimorso.» (stanza 4, p. 14).
Oltre agli evidenti “agganci” alla poesia dantesca, alla Bibbia e ad altro, ci si para davanti la fatica del cammino umano, ma nell'orizzonte della resurrezione siamo già abbracciati da un amore che la trasforma, quella fatica/croce, trasformandoci: «Non sappiamo chi per primo del creato / ha salutato Te uscito dal sepolcro. / Forse noi che – tu lo hai affermato – / siamo più di molti passeri fulcro / di valore. (…)» (stanza 8, p. 17). 
Nel primo sonetto in versi sciolti del libro, troviamo questa chiusa: «Non rimpiango la corsa a cui mi accingo, / svincolata dal peso, dal non senso, / dell'accumulo. / Questa è la notizia.» (p. 19), mentre nella poesia dedicata alle Ceneri Brancale scrive: «Per le Ceneri si riattiva il cuore / a quel poco che serve per vivere / e alla lotta contro il grande nemico / che ha il volto speculare di te stesso / ma un altro, duro, profilo interiore. / Tutto lui mette in discussione a parte / la riproposizione del solito / schema: salvati da solo / da solo.» (p. 22) ovvero
Satana ci attira fomentando il nostro amor proprio, blandendo la nostra autostima, declinando l'amore in lussuria, il servizio in affermazione di potenza, la prossimità in opportunismo, cercando di occultarci il problema esiziale: «Per chiunque subisce un trauma di morte / rimane chiusa una porta del tempo / che non si aprirà fino al compimento.» (Quando andasti via, p. 38). Ma «È l'incontro con la buona notizia / che entusiasma e fa recalcitrare, / che apre il varco nel mistero di ognuno, / che fa chiudere o cantare ogni cosa. // Spina pungi, prima di farti rosa.» (Cuore sacro, p. 41).

Nella sezione “Estate”: «la voglia di camminaore o guidare / a finestrini aperti è aratura / di pensieri e parole da cantare.» (stanza 2, p. 48), e nella poesia dedicata alla Trasfigurazione: «I volti degli amici cambiarono / per lo stupore nel vederti così / (…) / Ti guardavano da lontano in croce / e rimpiangevano la solennità / del Tabor, prima di imparare da Te / a riconoscerti tra gli sconfitti.» (Per lo stupore nel vederti così, p. 56). 

In “Autunno”: «(…) l'ombra vuole / in anticipo lo spazio. Più forti i venti.» (stanza 1, p. 69) e nella poesia dedicata alla Festa di San Michele una bellissima fotografia dell'entità spirituale che ci sta accanto: «Ne passiamo tanto di tempo soli, / avendo accanto l'angelo custode, / perché non sappiamo riconoscerlo, / lui che contempla in Dio la nostra storia.» (Tenacia mite del 29 settembre, p. 75). Non mancano nella Rosa di Brancale, poesie strettamente legate all'attualità sociale e politica, alla storia, allo sfruttamento dei migranti e dei poveri, alle guerre che a volte sono vicinissime, ma non riescono a scuoterci più di tanto da una sorta di assueufazione al male: “Nostra Signora di Damasco hai un manto / tessuto di spine raccolte a terra, / tra gli innocenti di Aleppo e i bambini / di Hama che gridano alle macerie: / “Non cadetici addosso. Chi ci salva?”» (p. 78).

In “Inverno”: «Nella geografia e nel tempo gli uomini / colgono sempre il punto di domanda / che ne rivela struttura e termini» (stanza 3, p. 98). Nella poesia dedicata al Discepolo amato troviamo questo passaggio: «Come lui rivolto in sé stesso al Padre / ti adagiasti sul suo petto provato / ricondotto ai rintocchi del suo cuore, / ma era lui ad avere già ascoltato il tuo, / ad ascoltarlo ancora come fa solo / un vero amico. / Questo vuol essere Dio.» (San Giovanni, p. 113). Una poesia è dedicata al successore di Pietro, ed ha questa chiusa molto “francescana”: «il trono deve farsi periferia / per regnare davvero come un centro.» (Il nomade bianco (Per la fesa della cattedra di Pietro), p. 29). 
In Varizioni sul tema (un orientamento alla vita immersa nel qui ed ora, potremmo dire): «Per tanta gente il tempo è sempre uguale, / è un presente dilazionato in fuga.» (p. 136).
È dunque quest'opera quasi un breviario in poesia, un diario intimo e personale eppure condivisibile da tutte le persone che desiderano essere, umilmente, punti di attenzione e di accoglienza, perché: «Il tempo reso a Dio e agli esseri umani, più in generale al creato, è un guadagno. Dona un altro respiro e un altro spessore che si fa gratitudine e, letteralmente, “azione di popolo” [cioè liturgia, nota ns]» (Un saluto, p. 141).

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