venerdì 1 febbraio 2019

La gioia di condividere “un'intensa amicizia spirituale”

Intervista a Debora Rienzi 




1) Innanzitutto, vorrei sapere qualcosa di più riguardo alla sua scelta di farsi monaca: un fatto particolare l’ha spinta?
E si è mai pentita di una scelta così sostanziale?

Per rispondere faccio una breve premessa: nel 2004 ho intrapreso la vita missionaria con l’Associazione Missionaria Internazionale (AMI) e sono entrata nella comunità di laiche consacrate dell’AMI, prendendo i voti privati nel 2012. Nel 2018 sono poi entrata in monastero e attualmente sto vivendo il periodo di noviziato. In questa scelta di vita che ha messo al centro il desiderio di Dio, dirimente è stata l’esperienza umana e spirituale molto intensa vissuta, tra il 2004 e il 2005, in Eritrea, dove ero andata come volontaria presso un ospedale gestito dall’AMI; durante quei mesi ho riscoperto una fede genuina, anche attraverso il risveglio alla fratellanza suscitato dal contatto con i poveri. Questa riscoperta mi sentirei di descriverla come un ‘essere venuto a prendermi’ da parte di Dio, che mi aspettava e da cui mi sono sentita desiderata. A 30 anni quindi, con alle spalle 15 anni di agnosticismo, gli studi di filosofia, alcune esperienze lavorative e anche affettive ho deciso di riorientare radicalmente la mia vita, per seguire il richiamo a una relazione più profonda con Dio, che percepisco vicino e amante, fondamento e senso della mia vita. La missione prima e il monastero dopo sono, nella mia esperienza personale, vie ugualmente orientate a Lui, ma con modalità concrete di vita diverse e in questi ultimi anni ho capito, non senza un discernimento a tratti lacerante, che la forma di vita monastica, benedettina camaldolese, mi corrisponde fortemente.
Non mi sono mai pentita di aver messo a soqquadro la mia vita a partire dal 2004 e non mi pento della svolta in senso monastico avvenuta l’anno scorso, il che non significa che non ci siano stati e non ci siano momenti di difficoltà e prova. Mi sembra che un cammino spirituale,  per essere autentico, non possa prescindere dal confronto con il male dentro e fuori di noi e dalla lotta, a volte dura, con tutto ciò che intorpidisce la risposta alla chiamata sorprendente di Dio per ciascuno di noi.

2) Vorrei poi porle una domanda un po’ insolita: se dovesse spiegare a un non credente il motivo principale per cui crede in Dio, cosa direbbe?
Grazie per questa domanda che mi risuona particolarmente perché nella mia stessa vita ho attraversato  un lungo periodo di lontananza da Dio, segnato dal dubbio di fondo sulla Sua esistenza. Alla luce di quanto vissuto, mi sento di dire che l’esistenza di Dio non si spiega, si esperisce. Mi sembra che qualsiasi discorso su Dio sia secondario, nel senso di susseguente, all’esperienza concreta della sua presenza nella nostra vita. Dunque forse la domanda potrebbe essere riformulata in termini di: Come entrare in contatto con quella parte profonda di noi dove siamo abitati da Dio? … Poi, una volta scoperta, o forse si può dire risvegliata, la realtà di Dio in noi, non però come una realtà statica ma al contrario come una linfa vitale feconda e dinamica, ci si può (e si deve) certamente continuare a porre tante domande su come sia Dio, che cosa dica quando ci parla, cosa desideri, quale sia la sua volontà… ma si smette di chiedersi se esista o meno, così come avviene quando si incontra una persona: è davanti a noi, ci parla, magari cerchiamo di capire cosa pensa e che carattere abbia, ma, sicuramente non ci chiediamo se quella persona esiste o meno, perché semplicemente è, e la relazione ce lo comprova. Magari con Dio la relazione è prevalentemente interiore, ma non è meno reale per questo, solo a volte più nascosta. Una delle gioie più profonde della mia vita è la condivisione di questa relazione con chi fa la stessa esperienza e con chi è in ricerca, all’interno di un rapporto che definirei di amicizia spirituale e che va al di là della confessione religiosa.

a cura di Celeste Babboni

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