Carlo Alessandro Landini, Stanze, FaraEditore 2018
recensione di Fabio Cecchi
Una scoperta veramente gradita. Un’opera poetica di spessore e rispetto che apporta lustro al nostro caro genere letterario. La prima occhiata generale data al volume mi svelava nota di rimando a Les Châtiments, lavoro in versi del Victor Hugo più maturo. Un segno immediato e gradito di come l’autore si sia sospinto, in sua formazione, per terre ignote e poco calcate. Qualcosa di particolare anche nella storia delle collane Fara: l’opera si distanzia dalla corrente contemporanea, lo stile rimanda agli anni del Risorgimento. Un compendio, per ultimare questa cronaca di presentazione, che raccoglie i frutti di tre decenni di composizione. Non una singola stagione, non un indirizzo unico di poesia. Una proposta riuscita e votata alla felice ricezione da parte di tutti, una poesia universalmente valida.
Ottave. Una raccolta intera di ottave in endecasillabi. La rima, quasi sempre presente, senza legarsi però a schemi. Essa si rintraccia nella sola prima sezione oppure nella sola seconda metà, può fiorire qui in coda, qua a mezzo di un verso. La scelta finale, di chiusura, è facile che ottenga riscontro al verso quinto oppure sesto. Un ritorno visivo e sonoro, ad ogni modo, che costituisce un valore aggiunto. L’endecasillabo, per dare una nota linguistica, accoglie alle volte un motto di lingua estera, come anche in latino. In ottica purista, si potrebbe alzare voce critica. La giusta valutazione va comunque approntata sul totale. Landini non intende stravolgere i canoni scolastici e nemmeno spacciare una esuberante postmodernità. L’italiano viene ben speso entro la mole augusta dell’opera, per cui la suddetta sperimentazione non è cosa che nuoce. Un tocco aggiunto di letterature, proprio così. Le ottave, ancora. Una metà scaturisce da spunto intellettuale personale, l’altra metà trae invece spunto da opere letterarie di provenienza varia. La rosa delle firme è troppo ampia perché si possa inquadrare un settore di studio e predilezione di ricerca. Va bene così, si solletica con ciò la nostra attività di scoperta.
Un libro umano, molto umano. Il respiro, curiosamente, è spesso attenuato nel leggere. La mente, nell’opera di delucidazione e comprensione, è chiamata a sgomberare il campo da rilevazioni esterne. I soggetti sono per forza numerosissimi, alcuni a centro della scena, altri appena tracciati, lievi allusioni alle geografie e psicologie dell’umano. I tasselli sanno parlare di noi fuori dai luoghi comuni, vanno adagiandosi sulle nostre fattezze come abiti di primissima confezione. E per questo incalzano, portano a una seconda subitanea lettura. Quali invece i limiti? La fatica nel discernere, senza dubbio, il punto ideale su cui prendere a leggere, vera sfida di meticolosità. Un secondo limite sembra essere la cornice di lavoro. La tabella data delle otto righe appare sotto proporzione nel riportare le parti del discorso. Un discorso su alti livelli, una visione arguta che non si limita ad accennare ma spiega ed illustra. E che finisce con lo schiacciarsi e striminzirsi, nonostante la larga spesa di enjambements, entro un recinto piuttosto esiguo. L’opzione di stanziare alcune ottave in serie poteva forse riuscire opzione di successo.
I risultati più alti possono evidenziarsi, senza pretesa né di esattezza né di esaustività, in un’ottava circa il sentimento religioso (16) e in una circa il sentimento amoroso (32). La riflessione attorno all’esistenza umana trova raggiungimenti notevoli nei numeri 236 e 268. Vogliamo citare anche la ripresa dall’epistolario di Katherine Mansfield per un quadro di alta e delicata intimità (376). Le ottave scaturite dietro alla lettura della sua In a German Pension riescono anch’esse pregevoli. C’è questo e molto altro. Un volumetto che vale insomma il suo prezzo onesto e misurato. Questa mia pagina, allo stesso modo, spero possa valere per consiglio rettamente condotto.
recensione di Fabio Cecchi
Una scoperta veramente gradita. Un’opera poetica di spessore e rispetto che apporta lustro al nostro caro genere letterario. La prima occhiata generale data al volume mi svelava nota di rimando a Les Châtiments, lavoro in versi del Victor Hugo più maturo. Un segno immediato e gradito di come l’autore si sia sospinto, in sua formazione, per terre ignote e poco calcate. Qualcosa di particolare anche nella storia delle collane Fara: l’opera si distanzia dalla corrente contemporanea, lo stile rimanda agli anni del Risorgimento. Un compendio, per ultimare questa cronaca di presentazione, che raccoglie i frutti di tre decenni di composizione. Non una singola stagione, non un indirizzo unico di poesia. Una proposta riuscita e votata alla felice ricezione da parte di tutti, una poesia universalmente valida.
Ottave. Una raccolta intera di ottave in endecasillabi. La rima, quasi sempre presente, senza legarsi però a schemi. Essa si rintraccia nella sola prima sezione oppure nella sola seconda metà, può fiorire qui in coda, qua a mezzo di un verso. La scelta finale, di chiusura, è facile che ottenga riscontro al verso quinto oppure sesto. Un ritorno visivo e sonoro, ad ogni modo, che costituisce un valore aggiunto. L’endecasillabo, per dare una nota linguistica, accoglie alle volte un motto di lingua estera, come anche in latino. In ottica purista, si potrebbe alzare voce critica. La giusta valutazione va comunque approntata sul totale. Landini non intende stravolgere i canoni scolastici e nemmeno spacciare una esuberante postmodernità. L’italiano viene ben speso entro la mole augusta dell’opera, per cui la suddetta sperimentazione non è cosa che nuoce. Un tocco aggiunto di letterature, proprio così. Le ottave, ancora. Una metà scaturisce da spunto intellettuale personale, l’altra metà trae invece spunto da opere letterarie di provenienza varia. La rosa delle firme è troppo ampia perché si possa inquadrare un settore di studio e predilezione di ricerca. Va bene così, si solletica con ciò la nostra attività di scoperta.
Un libro umano, molto umano. Il respiro, curiosamente, è spesso attenuato nel leggere. La mente, nell’opera di delucidazione e comprensione, è chiamata a sgomberare il campo da rilevazioni esterne. I soggetti sono per forza numerosissimi, alcuni a centro della scena, altri appena tracciati, lievi allusioni alle geografie e psicologie dell’umano. I tasselli sanno parlare di noi fuori dai luoghi comuni, vanno adagiandosi sulle nostre fattezze come abiti di primissima confezione. E per questo incalzano, portano a una seconda subitanea lettura. Quali invece i limiti? La fatica nel discernere, senza dubbio, il punto ideale su cui prendere a leggere, vera sfida di meticolosità. Un secondo limite sembra essere la cornice di lavoro. La tabella data delle otto righe appare sotto proporzione nel riportare le parti del discorso. Un discorso su alti livelli, una visione arguta che non si limita ad accennare ma spiega ed illustra. E che finisce con lo schiacciarsi e striminzirsi, nonostante la larga spesa di enjambements, entro un recinto piuttosto esiguo. L’opzione di stanziare alcune ottave in serie poteva forse riuscire opzione di successo.
I risultati più alti possono evidenziarsi, senza pretesa né di esattezza né di esaustività, in un’ottava circa il sentimento religioso (16) e in una circa il sentimento amoroso (32). La riflessione attorno all’esistenza umana trova raggiungimenti notevoli nei numeri 236 e 268. Vogliamo citare anche la ripresa dall’epistolario di Katherine Mansfield per un quadro di alta e delicata intimità (376). Le ottave scaturite dietro alla lettura della sua In a German Pension riescono anch’esse pregevoli. C’è questo e molto altro. Un volumetto che vale insomma il suo prezzo onesto e misurato. Questa mia pagina, allo stesso modo, spero possa valere per consiglio rettamente condotto.
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