recensione di Valeria Parma
Nella sua quarta raccolta di poesie, Stanze, Carlo Alessandro Landini, dimostra la sua vastissima cultura citando “nomi di antichi e di moderni, di più o meno riconosciuta autorevolezza e appartenenti a generi diversissimi”, come nella prefazione afferma Vincenzo Guarracino.
Gli intenti delle sue poesie infatti risultano due: il primo è senza dubbio quello di delectare, poiché lo stile da lui adottato è curato e minuzioso e si percepisce bene l’attenzione nelle scelte lessicali – come faceva il grande Catullo, anche Landini si serve del labor limae, ossia una scrittura assidua e meticolosa.
Nella sua quarta raccolta di poesie, Stanze, Carlo Alessandro Landini, dimostra la sua vastissima cultura citando “nomi di antichi e di moderni, di più o meno riconosciuta autorevolezza e appartenenti a generi diversissimi”, come nella prefazione afferma Vincenzo Guarracino.
Gli intenti delle sue poesie infatti risultano due: il primo è senza dubbio quello di delectare, poiché lo stile da lui adottato è curato e minuzioso e si percepisce bene l’attenzione nelle scelte lessicali – come faceva il grande Catullo, anche Landini si serve del labor limae, ossia una scrittura assidua e meticolosa.
D’altra parte egli riesce anche a docere, cioè ad insegnare, arricchendo così i suoi componimenti di nozioni di ogni tipo. “Poesia coltissima, come si vede dai referenti ispiratori, poesia di chi ha letto tutti i libri ma senza spleen, bensì in appagata bulimia di voler leggere ancora e, scrivendo, capire” sostiene Cesare Cavalleri nella postfazione. Non c’è dunque da stupirsi se in una stessa pagina troviamo poesie che parlano d’amore:
o poesie che parlano della morte, del tempo, del suo stesso metodo di lavoro, o che si rifanno alla mitologia o alla letteratura. Carlo Alessandro in questo modo dimostra ancora una volta la sua grandissima abilità nell’incuriosire il lettore con la propria cultura ed inserirla in tutti i temi trattati.
“Come mai non colpiscono nel segno/ gli struggimenti amorosi d’un cuore/ infelice? Per quale mai disegno/ del caso o sdegno o acume (sarà questa, / forse, l’occulta mano di Smith?) tesse / la sua fragile tela il ragno a lume / di naso? E par creato, quel ricamo, / dalla benevola follia di un nume?”
o poesie che parlano della morte, del tempo, del suo stesso metodo di lavoro, o che si rifanno alla mitologia o alla letteratura. Carlo Alessandro in questo modo dimostra ancora una volta la sua grandissima abilità nell’incuriosire il lettore con la propria cultura ed inserirla in tutti i temi trattati.
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