su Appunti di viaggio di Claudio Signorotti
recensione di Marcello Tosi
A partire da una dimensione intima e familiare in movimento, quella dei versi de Il fiume (“Assomiglia alla vita… / si può essere sorgente e forza / oppure riposo e pace / acqua / vita per chi è vicino”), per dipanare attraverso i titoli successivi il senso stesso del viaggio: Senza patria, Una piccola partenza, ma per giungere a domandarsi prima d tutto il perché di questo viaggiare, “il motivo, lo scopo, la finalità” (“Una giornata particolare / fuori città nell’altra città / lontano, quasi in un altro mare… Solo al ritorno arrivano i mali, / il treno in ritardo / e il corpo finito tra gli strali”).
“Negli anni Novanta” scrive l’autore nella premessa al volume, recentemente pubblicato da FaraEditore “un gruppo di poeti inglesi ha dato avvio ad un’iniziativa molto particolare, quella di pubblicare componimenti classici e contemporanei all’interno delle carrozze viaggiatori e dei corridoi della metropolitana di Londra e i viaggiatori indaffarati potevano concedersi un momento di pausa nella frenesia della giornata lavorativa. Le poesie di questa sezione hanno per argomento scorci di natura, popoli e città”. Così Il cielo del Messico “scelto per scappare / forse per amare” appare “intatto anelito di giustizia”. Ma “Il mare ci porta”, ribadisce, e tra onde e dune (quasi metafora del lavoro del poeta, tra mare e deserto) a condurre, quasi montalianamente, sulla via della poesia è lo spazio del molo, che “anche oggi ha retto / e mi ha portato in mezzo al mare”. E che riporta alla poesia della terra natia, contraddistinta da un anelito, a un soffio pascoliano. Le dimore degli angeli: “luci di colori, / nelle casette / di campagna / intorno a San Mauro”.
Poesia dell’oggi, di un “Vero camminatore a Rimini”, dove l’autore è nato e lavora presso il Museo della Città. Gli piace paragonare l’attività del pensare poetico a quella del contadino: come con le zolle della terra, i pensieri vanno rimossi, rigirati, messi in disparte e poi reintegrati, spesso rullati, sempre innaffiati perché non bastano le nuvole, cioè le circostanze, a renderli poetici. Va da sé che il libro più bello è la natura.
Il poeta, scrive, “è un cuore aperto” che trova la sua illuminazione in una imperativa esortazione: “Vivi! da vivo / il cuore batte”. E il suo prima, come quello di uno scriba, è “guardare / il foglio imbianco ammirare”. È il momento di un fare scrittorio affine all’“Alchemia” (titolo di una delle sezioni della raccolta). Il momento in cui delle parole si fa l’esperienza, rinvenendo che “un’emozione non è mai identica a quella vissuta in circostanze diverse”. Il momento di dare un nome ad “attimi”, a volti che si vogliono trattenere nella memoria, a “impronte di libri” avendo “il mare nel cuore / l’acqua nelle mani…”. Ed è sempre “l’impegno, la ricerca / il corridoio e un laboratorio, / uno sguardo d sollecitudine / tra poche lacrime, / la via di una salvezza”.
Altre sezioni, come “La tartaruga e il braccialetto”, “Sandali blu”, appaiono rivolte a ricordare attimi di riconoscimento di vita e umanità: “non è facile mettersi nei panni di qualcuno… è ancora più difficile mettersi nelle sue scarpe”. Ma quando questo avviene scaturisce come la visione di un mondo nuovo, di varchi sorprendenti, in cui immettere il nostro umano cammino: “assomiglia alla vita… / si può essere sorgente e forza / oppure riposo e pace / acqua… / vita per chi è vicino” (Il fiume), “Tutto è qui / intorno / sono libero” (Tutto è qui) e il poeta impara a conoscere fino in fondo la forza delle parole: “quelle che ti han fatto vivere / le hai nel cuore, / quelle che ti hanno ucciso / non sono più”.
Anche le escursioni nella poesia dialettale di Tanimodi, La mi ma sono spiegate da Signorotti come l’anima intima, la sotterranea vibrazione di suoni e parole che non si possono riprodurre con la stessa efficacia in italiano.
Introducendo l’autore lo scorso 21 luglio al Museo di Rimini, Massimo Pulini, assessore alle attività culturali, ha sottolineato come “ci sia necessità della poesia in momenti come questi in cui le parole hanno bisogno di essere calibrate. Di questo persistere della poesia come filtro antico di un sentire sia critico che di sentimento, di versi che sono come il passaggio dell’acqua sulla terra, filtrata, purificata, così come è purificata la poesia dall’autore, che la sottopone ad un vaglio molto rigoroso”.
“Che tipo di viaggio è il tuo?” è stato chiesto all’autore. “Un viaggio col pensiero, nel tempo passato, in luoghi diversi dove volevo andare per capire cosa salvare, quegli episodi che volevo capire, quelle persone che non rivedrò mai più, attimi preziosi a cui volevo ridare il giusto valore. Scrivere mi ha fatto vedere che non erano emozioni effimere. Il ritorno è come un andare all’indietro. Il tempo ritrovato è importante, e ogni poesia ha il suo respiro, il suo tempo di comprensione. È un’apertura nel tempo, del tempo.”
recensione di Marcello Tosi
A partire da una dimensione intima e familiare in movimento, quella dei versi de Il fiume (“Assomiglia alla vita… / si può essere sorgente e forza / oppure riposo e pace / acqua / vita per chi è vicino”), per dipanare attraverso i titoli successivi il senso stesso del viaggio: Senza patria, Una piccola partenza, ma per giungere a domandarsi prima d tutto il perché di questo viaggiare, “il motivo, lo scopo, la finalità” (“Una giornata particolare / fuori città nell’altra città / lontano, quasi in un altro mare… Solo al ritorno arrivano i mali, / il treno in ritardo / e il corpo finito tra gli strali”).
“Negli anni Novanta” scrive l’autore nella premessa al volume, recentemente pubblicato da FaraEditore “un gruppo di poeti inglesi ha dato avvio ad un’iniziativa molto particolare, quella di pubblicare componimenti classici e contemporanei all’interno delle carrozze viaggiatori e dei corridoi della metropolitana di Londra e i viaggiatori indaffarati potevano concedersi un momento di pausa nella frenesia della giornata lavorativa. Le poesie di questa sezione hanno per argomento scorci di natura, popoli e città”. Così Il cielo del Messico “scelto per scappare / forse per amare” appare “intatto anelito di giustizia”. Ma “Il mare ci porta”, ribadisce, e tra onde e dune (quasi metafora del lavoro del poeta, tra mare e deserto) a condurre, quasi montalianamente, sulla via della poesia è lo spazio del molo, che “anche oggi ha retto / e mi ha portato in mezzo al mare”. E che riporta alla poesia della terra natia, contraddistinta da un anelito, a un soffio pascoliano. Le dimore degli angeli: “luci di colori, / nelle casette / di campagna / intorno a San Mauro”.
Poesia dell’oggi, di un “Vero camminatore a Rimini”, dove l’autore è nato e lavora presso il Museo della Città. Gli piace paragonare l’attività del pensare poetico a quella del contadino: come con le zolle della terra, i pensieri vanno rimossi, rigirati, messi in disparte e poi reintegrati, spesso rullati, sempre innaffiati perché non bastano le nuvole, cioè le circostanze, a renderli poetici. Va da sé che il libro più bello è la natura.
Il poeta, scrive, “è un cuore aperto” che trova la sua illuminazione in una imperativa esortazione: “Vivi! da vivo / il cuore batte”. E il suo prima, come quello di uno scriba, è “guardare / il foglio imbianco ammirare”. È il momento di un fare scrittorio affine all’“Alchemia” (titolo di una delle sezioni della raccolta). Il momento in cui delle parole si fa l’esperienza, rinvenendo che “un’emozione non è mai identica a quella vissuta in circostanze diverse”. Il momento di dare un nome ad “attimi”, a volti che si vogliono trattenere nella memoria, a “impronte di libri” avendo “il mare nel cuore / l’acqua nelle mani…”. Ed è sempre “l’impegno, la ricerca / il corridoio e un laboratorio, / uno sguardo d sollecitudine / tra poche lacrime, / la via di una salvezza”.
Altre sezioni, come “La tartaruga e il braccialetto”, “Sandali blu”, appaiono rivolte a ricordare attimi di riconoscimento di vita e umanità: “non è facile mettersi nei panni di qualcuno… è ancora più difficile mettersi nelle sue scarpe”. Ma quando questo avviene scaturisce come la visione di un mondo nuovo, di varchi sorprendenti, in cui immettere il nostro umano cammino: “assomiglia alla vita… / si può essere sorgente e forza / oppure riposo e pace / acqua… / vita per chi è vicino” (Il fiume), “Tutto è qui / intorno / sono libero” (Tutto è qui) e il poeta impara a conoscere fino in fondo la forza delle parole: “quelle che ti han fatto vivere / le hai nel cuore, / quelle che ti hanno ucciso / non sono più”.
Anche le escursioni nella poesia dialettale di Tanimodi, La mi ma sono spiegate da Signorotti come l’anima intima, la sotterranea vibrazione di suoni e parole che non si possono riprodurre con la stessa efficacia in italiano.
Introducendo l’autore lo scorso 21 luglio al Museo di Rimini, Massimo Pulini, assessore alle attività culturali, ha sottolineato come “ci sia necessità della poesia in momenti come questi in cui le parole hanno bisogno di essere calibrate. Di questo persistere della poesia come filtro antico di un sentire sia critico che di sentimento, di versi che sono come il passaggio dell’acqua sulla terra, filtrata, purificata, così come è purificata la poesia dall’autore, che la sottopone ad un vaglio molto rigoroso”.
“Che tipo di viaggio è il tuo?” è stato chiesto all’autore. “Un viaggio col pensiero, nel tempo passato, in luoghi diversi dove volevo andare per capire cosa salvare, quegli episodi che volevo capire, quelle persone che non rivedrò mai più, attimi preziosi a cui volevo ridare il giusto valore. Scrivere mi ha fatto vedere che non erano emozioni effimere. Il ritorno è come un andare all’indietro. Il tempo ritrovato è importante, e ogni poesia ha il suo respiro, il suo tempo di comprensione. È un’apertura nel tempo, del tempo.”
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