giovedì 1 febbraio 2018

“…un'origine smarrita ci appartiene”: sulla nuova raccolta di Domenico Cipriano






Domenico Cipriano: L’origine, Edizioni L’Arcolaio, Novembre 2017

recensione di Vincenzo D'Alessio

Torna ad affacciarsi agli occhi dei lettori la poesia di Domenico Cipriano nella raccolta: L’origine, pubblicata dalle edizioni L’arcolaio di Forlimpopoli (FC) nel novembre dell’anno appena trascorso.Dei viaggi intrapresi dall’autore, alla scoperta delle realtà del nostro pianeta, quello più lungo è questo all’origine dell’acqua della vita.
Un’acqua antichissima, paleoantropologica, cercata nelle orme che la prima donna ha lasciato nelle pomici della gola di Olduvai in Tanzania, nelle radici dei luoghi dove il poeta viene messo al mondo, nel latte materno della moglie che cresce sua figlia.
L’origine, e la vita stessa, è acqua che fluisce: Panta rei  della vicina scuola eleatica che pervade il nostro DNA da duemilacinquecento anni. Fluisce e non ritorna se non nella sete infinita di conoscenza che alimenta la poetica di Cipriano: “Io sono / tutte le terre che ho visitato / anche se da una sola / ho preso vita” (pag. 15).
L’origine di ognuno di noi e la fine della singola esistenza, assumono un valore infinito se calati nella collettività, nelle tracce indissolubili dei luoghi visitati, nei ritmi cronotipi che accedono al vocabolario della nostra esistenza e si confrontano con l’acume del passato: “(…) L’istante / dove spunta l’inizio dei pensieri / la nascita”( pag. 23).
La raccolta poetica che Cipriano ha realizzato in una semplice plaquette è densamente popolata dalla memoria della propria terra d’origine, dalle icone raccolte lungo i viaggi, dall’incondizionata sete di raggiungere un pensiero filosofico che permetta alla sua creatività di varcare la soglia delle mura che la contengono per raggiungere il ché dell’esistenza: “(…) oltre la memoria conosciuta / dove un’origine smarrita ci appartiene / tra steppe e ghiacci siderali, gusci di conchiglie consumate / e l’innegabile perizia di resistere” (pag. 21).
Si coglie l’apertura del diaframma che separa la sicura sponda del vissuto e la continuità del viaggio verso l’ignoto: “(…) Un dettaglio marginale – sepolto e inaccessibile – che compensa l’angoscia / la distanza sconfinata dalle stelle” (pag. 23).
Il vissuto è nei luoghi dove è stata messa al mondo l’anima del poeta, la sua sete di purezza, l’incandescenza della memoria che soverchia la fragilità della parola: “La memoria è un cuscino ardente / su cui non si riposa il corpo” (pag. 35) – “(…) È un tratto semantico / che dice il paese e ti riposi / passando lo sguardo dalla sedia / alle persone / alla loro processione / di ritorno / frammentata e fedele, invogliata dal senso del dovere” (pag. 39).
Ineffabile la presentazione che Cipriano dà dei luoghi natali, delle sofferte stagioni, dello spopolamento subito nel corso dei secoli, come raccontano le voci dei nostri grandi poeti meridiani che ci hanno preceduto: Alfonso Gatto, Rocco Scotellaro, Leonardo Sinisgalli, Pasquale Martiniello per citarne solo alcuni.
Mimesi come fonte ideale della realtà e forza propulsiva del rinnovamento della “parola poetica” : l’autore intende affrontare in questo ritorno all’origine della sua poetica la possibilità della nascita di una produzione impersonale più vicina alla realtà della Natura: “(…) Un’ultima occasione / per avvinghiarci alla bellezza. Un risarcimento / al sentimento di sentirci vivi. La speranza di riavere dalla vita / l’ultima sostanza” (pag. 44).
I versi si muovono al ritmo sereno raggiunto con l’ausilio della Musica: l’enjambement ricama la solidità dell’ordito. L’assonanza interna spinge alla melodia dei suoni. La rima si affaccia a ricordarci l’ispirazione che vivifica il passaggio dalla mente alla voce. L’imperativo emerge a indagare con se stessi la strada da seguire, che non è per tutti.
Il poeta è voce del creato, delle sue creature, della sua nascita, meraviglie che si rinnovano ne: “ (…) il silenzio, il respiro / affannoso d’inverno, / (…) i pochi nei volti sinceri / che non chiedono / altro in cambio, né / dicono, eppure sanno” (pag. 51).


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