giovedì 1 febbraio 2018

Perdo gli oggetti per non perderti

Intervista a Carla De Angelis

a cura di Ilaria Brandi


Qualche giorno fa ho avuto il piacere di intervistare la poetessa Carla De Angelis, autrice, fra l'altro, di Mi fido del mare e A dieci minuti da Urano.
A seguire l'intervista.


  – Perché ha cominciato a scrivere e cosa le ha fatto sentire la necessità di continuare?


R. Non lo so perché ho iniziato a scrivere, ero molto giovane, piccola direi. I miei primi appunti risalgono a quando facevo le elementari. Poi durante gli anni delle scuole superiori, copiavo (il mio primo lavoro) a macchina poesie e racconti del Prof. Luigi Bartolini (pittore, scultore, incisore poeta) ogni tanto cambiavo qualche sua parola, sicché un giorno mi chiamò e mi disse senza troppi preamboli: “Tu scrivi! Fammi leggere i tuoi lavori.”
Di fronte a tanta sicurezza risposi la verità e il giorno successivo gli portai le mie liriche. Qualche mese dopo mi telefonò annunciandomi una sorpresa e mentre gli consegnavo i suoi dattiloscritti, mi diede la rivista internazionale “Pensiero ed Arte” dove erano pubblicate due mie liriche.  La conservo gelosamente. Ho continuato per qualche anno ancora a scrivere e pubblicare, e prendere premi, poi per problemi familiari ho smesso.
Mi sono dedicata alla ceramica, dalla terra al lavoro finito. L’ho insegnata per molti anni in Centri di quartiere, gratuitamente. Ho ripreso a scrivere perché mi piace, mi fa stare bene. Scrivere per me è sognare, non so da dove vengono i sogni e spesso rileggendo i miei lavori non so da dove sono arrivate le parole.


– Ho letto online che è appassionata di classici. C’è un autore o un testo in particolare che ha formato lei e il suo stile?

R. I poeti latini sono da sempre il mio faro, ma mentre non so se abbiano formato il mio stile (peccherei di presunzione) il mio pensiero sì. Amo soprattutto Catullo, Lucrezio Caro e Il senso della vita di Cicerone. Un altro libro che mi è molto caro è il Cantico dei Cantici nella trasposizione poetica dall’ebraico di Agostino Venanzio Reali.



– Come nascono le sue poesie? Scrive di getto o ha un processo di formazione più rigido?

R. Scrivo (penso) di getto, mentre sto facendo altro – cucinare, guidare, leggere – mi viene in mente quella frase che sarà l’inizio di un mio componimento. La prima stesura è quasi sempre anche l’ultima, leggo a voce alta per cercare il ritmo, quella armonia che permette la musicalità del verso, quindi posso togliere o aggiungere parole, resto sul verso fino a che non ho trovato quella giusta, ma il nocciolo resta.


– Nei suoi libri è presente una profonda connessione con la natura (e con il mare): da dove è nato questo legame e perché?

R. È difficile stabilire dove e quando è nata la mia passione per la natura. Mi hanno sempre raccontato che fin da molto piccola mi sedevo per terra con le ginocchia tra le mani e guardavo il prato che si trovava di fronte alla casa che abitavo, o mi incantavo a osservare il cielo quando di sera si popolava di stelle. Non parlavo molto in queste occasioni, mentre in altre sì, tanto che vedevano per me una carriera da avvocato.
Il mare ha una storia particolare. Accadde in una estate, dopo le vacanze dalla scuola elementare, mi trovavo in cabina per mettere il costume, con mia sorella, più grande di me di 11 anni. Mi rivelò una cosa che mi diede un grande dolore, poi mi guardò e aggiunse: “Adesso non piangere.”
“No, non piango.”
Andai a gettarmi in acqua e l’acqua del mare nascose le mie lacrime.


– Ci sono poesie che rimpiange di avere scritto?

R. Ci sto pensando, no non credo. Vado avanti a rispondere, se mi tornerà qualcosa in mente, tornerò a rispondere.


– Spesso nelle sue poesie troviamo ipotetiche conversazioni con Dio. Quale è il suo rapporto con la fede?

R. Negli anni della scuola, frequentavo l’oratorio e durante quegli spazi in cui le suore ci facevano entrare in classe per parlarci di religione, rimasi impaurita da questo Dio, così punitivo, da questo Padre che ci avrebbe amato solo se avessimo ubbidito alle sue leggi. Nessuna comprensione.
Ora lo sento come un amico che mi conosce profondamente e gli parlo senza timore, non importa che esaudisca o ignori le mie richieste. Esiste, esiste in me. Ne ho bisogno perché mi aiuti a capire cos’è il perdono, e il significato di “libero arbitrio” e tante altre cose.

– Nel suo libro Mi fido del mare e nella raccolta di poesie e racconti Il coraggio del bene compaiono due poesie molto simili, entrambe intitolate Ci aprono il sipario. Cosa l’ha spinta a fare due versioni diverse?

R. Sono stati due momenti diversi; conosco Guido Passini, perciò pensando a lui il senso di quella poesia non poteva essere altro. La stavo scrivendo quando mi è arrivato l’invito per l’antologia.
Poi ho ripreso la prima stesura per il libro Mi fido del mare.


– Ha in cantiere altri progetti?

R. Al momento collaboro con la biblioteca Renato Nicolini per la poesia e  la letteratura per adulti e ragazzi delle scuole elementari e medie. Sto scrivendo e spero di pubblicare ancora un libro di poesie e uno di racconti. Forse sto esagerando “non so quanto mi resta da vivere”.

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