Colomba Di Pasquale, Poesie minuscole, e-book, Nomos Edizioni
recensione di AR
Come il distico citato nel titolo, questa raccolta di versi minimi è intrisa di un'ironia arguta e malinconica che a tratti si rivolge a un tu amato o desiderato evanescente (“vivo in bilico tra una stretta di mano / e le mie mani tra le tue”) e trova più stabile approdo, nel suo interrogarsi su ciò che conta, nell'abbraccio della natura, nell'osservazione della realtà quotidiana con i suoi tic relazionali omologanti (v. la dipendenza da social e cellulari) in cui si trova una humanitas liquida e distratta che pure richiede implicitamente cura e attenzione: “Se fino a Milano costei parlerà al telefono / cosa racconterà del viaggio?”; “Come stai? // Vivo da poco in una città ideale / in grande solitudine / ci si trova e ci si perde anche un po'. / Quindi sto, diciamo che sto.”
La lingua è asciutta, aforistica, i versi brevi (abbastanza presenti i settenari) sono provocanti e illuminanti, in costante tensione fra elegia disincantata e impulso etico-filosofico ad agire: “non scordar il passato / è tutto quel che è stato”; “non ricordo più / come suona il tuo sì”; “scrivere serve a poco / in un paese che non legge”; “solo la storia con me / è la storia che ricordo”.
Dalla immersione nella natura, dalla vita con le sue svolte stagionali, dalle relazioni, dall'attualità, Colomba trae un tesoro di immagini e metafore pregnanti e suggestive che si scavano un posto permanente nella nostra memoria: “e quando l'attesa sarà finita / vorrei essere per te il ritorno”; “Sarà come l'ala dell'areo / che affetta le candide nuvole / nel volare immobile / morire?”; “il dolore non ha dolore / è un mare infinto / una sorta di oceano / senza temperatura”.
Forse solo la poesia (assieme, credo, alla preghiera che con la poesia ha molti punti di contatto) può dare a questo oceano che incarna a volte la tremenda banalità della sofferenza, del male, della morte, il colore appena caldo della speranza o almeno dell'ironia: “Mi faccio scorpacciate di solitudine domenicale, / poi se mi prende scrivo qualche verso utile e inutile”; “non ci sei più / a scaldarti al fuoco dei miei versi per te”; “il mondo / è un raccordo / facile entrarvi / meno uscirvi”; “sono la rima spuntata di questa poesia”.
Un'opera ricca di bagliori, su cui è piacevole ritornare (bene averla ad esempio nel telefonino e assaporarsela nei momenti opportuni) per scuoterci un po' dal torpore che sembra non di rado frenarci.
Splendidi i versi finali: “Le parole non servono ora, / ora non occorrono più. / Fin qui occorrevano, / ora non più.”
recensione di AR
Come il distico citato nel titolo, questa raccolta di versi minimi è intrisa di un'ironia arguta e malinconica che a tratti si rivolge a un tu amato o desiderato evanescente (“vivo in bilico tra una stretta di mano / e le mie mani tra le tue”) e trova più stabile approdo, nel suo interrogarsi su ciò che conta, nell'abbraccio della natura, nell'osservazione della realtà quotidiana con i suoi tic relazionali omologanti (v. la dipendenza da social e cellulari) in cui si trova una humanitas liquida e distratta che pure richiede implicitamente cura e attenzione: “Se fino a Milano costei parlerà al telefono / cosa racconterà del viaggio?”; “Come stai? // Vivo da poco in una città ideale / in grande solitudine / ci si trova e ci si perde anche un po'. / Quindi sto, diciamo che sto.”
La lingua è asciutta, aforistica, i versi brevi (abbastanza presenti i settenari) sono provocanti e illuminanti, in costante tensione fra elegia disincantata e impulso etico-filosofico ad agire: “non scordar il passato / è tutto quel che è stato”; “non ricordo più / come suona il tuo sì”; “scrivere serve a poco / in un paese che non legge”; “solo la storia con me / è la storia che ricordo”.
Dalla immersione nella natura, dalla vita con le sue svolte stagionali, dalle relazioni, dall'attualità, Colomba trae un tesoro di immagini e metafore pregnanti e suggestive che si scavano un posto permanente nella nostra memoria: “e quando l'attesa sarà finita / vorrei essere per te il ritorno”; “Sarà come l'ala dell'areo / che affetta le candide nuvole / nel volare immobile / morire?”; “il dolore non ha dolore / è un mare infinto / una sorta di oceano / senza temperatura”.
Forse solo la poesia (assieme, credo, alla preghiera che con la poesia ha molti punti di contatto) può dare a questo oceano che incarna a volte la tremenda banalità della sofferenza, del male, della morte, il colore appena caldo della speranza o almeno dell'ironia: “Mi faccio scorpacciate di solitudine domenicale, / poi se mi prende scrivo qualche verso utile e inutile”; “non ci sei più / a scaldarti al fuoco dei miei versi per te”; “il mondo / è un raccordo / facile entrarvi / meno uscirvi”; “sono la rima spuntata di questa poesia”.
Un'opera ricca di bagliori, su cui è piacevole ritornare (bene averla ad esempio nel telefonino e assaporarsela nei momenti opportuni) per scuoterci un po' dal torpore che sembra non di rado frenarci.
Splendidi i versi finali: “Le parole non servono ora, / ora non occorrono più. / Fin qui occorrevano, / ora non più.”
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