https://www.youtube.com/watch?time_continue=5&v=8obP-euTgC8
“… arrivò a scompigliare / giorni
sempre uguali / ribaltando le rotte / di viaggi mentali …” (poesia
‘Ipotetico approdo pensando al Titanic’). Parole delle quali subito godi
l’armonia del suono e la delicatezza del richiamo poetico, ma poi ti
fermi perché ti resta l’impressione di non aver afferrato completamente
il significato. Rileggi e in quelle poche sillabe scopri, in
straordinaria sequenza, la monotonia della vita, la speranza di poterla
domare, la ricerca di qualcosa che ti ricostruisca dentro. Ne prendi
nota, ma non afferri il giudizio dell’Autrice, perché te lo ha nascosto
in qualche modo, lasciando a te la libertà di trarne una conclusione.
E’
questo, a mio avviso, il “costrutto poetico” di Claudia Piccinno, che
ti impone una fatica obbligata; o sei disposto ad affrontarla o dei suoi
versi ti resterà solo un suono affascinante.
In alcune delle
precedenti opere letterarie di Claudia, com’è mia abitudine, ho letto i
commenti di altri per confrontare la mia con la loro impressione, e ne
richiamo alcuni.
Antonella Griseri, nella prefazione de “Il
Soffitto”, dice: La bellezza del cuore di Claudia Piccinno è della
medesima natura dei suoi versi. Puri e limpidi. Puliti e tersi. Sono
attraversati da ciò che si può definire un dolore latente ma
incredibilmente dignitoso, che la poetessa riesce a non far pesare,
enunciandolo come imprescindibilmente legato all’esistenza stessa.
Slavica Pejovic, in una nota sull’autrice dello stesso libro, commenta:
Sembra ricercare un equilibrio tra la conoscenza dei valori universali e
la verità interiore del singolo essere umano. Milica JeftimiJević Lilić
afferma su Claudia: Rivendica il diritto di una voce autentica ad
armonizzarsi con gli ascolti disattesi. Domenico Pisana, commentando
“Ragnatele cremisi”, sottolinea: Claudia Piccinno orienta la sua
versificazione nell’orizzonte dialogico tra cielo e terra, tra pensiero
ed azione, mostrando di credere nel sentimento e nelle emozioni come
elementi di importante alfabetizzazione e finalizzati a stabilire una
relazione positiva
anzitutto con se stessa e, poi, con gli altri…
Quanto da me inizialmente affermato non contrasta troppo con quanto già rilevato da altri, ma in qualche modo si diversifica.
Invito
a leggere ‘L’urlo silente’. Certo, è l’autrice che parla di sé e di
un’altra creatura che le vive accanto, ma ho dovuto pesare tre volte
ogni parola per farmi una ragione mia del concetto espresso, in un
susseguirsi di apparenti contraddizioni: un male che brucia contro un
risorgere di forza dalle sue ceneri, una pazienza che vacilla per una
luce solo sognata contro la scia luminosa di un’aurora esprimente il
giorno. Ho dovuto lottare interiormente per scegliere da solo chi poteva
vincere.
La forza di Claudia è in questa capacità di
intrometterti in un mondo di distrazioni universali, senza fornirti
suggerimenti piuttosto che certezze, logiche piuttosto che speranze. Ti
fa comprendere quanto profondo sia quel genere, pur suo, di stato
d’animo, ma la sua reale definizione resta un enigma da portarti dentro a
lungo.
Se la poesia è rappresentazione di verità, come qualcuno
sostiene, l’Autrice ti porta a considerare che potresti anche scoprire
che nemmeno quella esiste.
L’ossimoro, insomma, sembra estendersi
dal contradditorio del titolo – l’urlo non dovrebbe essere silente - al
contradditorio dei versi, in un accostamento azzardato che è proprio la
Vita a rendere credibile.
Nella Nota sull’Autrice di Angela
Iantosca si legge a commento: “C’è malinconia nelle poesie di Claudia,
ci sono cicatrici che ancora sanguinano e a cui vuole dar voce… È un
‘Cuore cucito’ il suo e forse il nostro, ma un cuore che attende anche
un girasole…”. Credo che tra questo e quanto da me affermato ci sia
forse solo un esprimere con parole diverse lo stesso concetto.
Per
Claudia la contraddizione arriva al punto di rendere ‘pigra’ la rotaia e
non il mezzo che vi scorre sopra, ed è sempre la rotaia che “stridula
frenò / su un compromesso”.
In ‘Davide è il tuo nome’ (dedicata a un bambino affetto da autismo) Claudia sembra avvalorare la sua difficoltà a
intraprendere
un dialogo con l’esterno, ammettendo che “non è facile decifrare la
bussola dei sensi / in tale marasma di stimoli sociali”. Sembra quasi
ammettere che nel “quotidiano” appare possibile, ma non lo è,
raggiungere risultati comunicativi, mentre si può tentare perfino di più
di fronte all’autismo: “scenderò a incontrare l’oggetto che ti attrae /
per accorciare la distanza / che ti tiene relegato in una stanza”.
Ciò conferma l’idea di quanto il pensiero poetico-filosofico dell’Autrice sia profondamente complesso.
Il
mondo che Claudia osserva suscita in lei stupori negativi, di fronte a
un campo profughi (per farci assuefare / alla diaspora degli innocenti /
nell’ottusità delle nostre menti / al coraggio senza pari dei perdenti)
o perfino al concetto di divinità (Dio minore… Chiamiamolo così / o
forse despota del mare / suona meglio?).
Nella sequenza delle sue
osservazioni non tralascia nemmeno la fantasia: simpatico quel
‘Fantasioso erede di Pitagora’, che recita “non amo gli utili, né il
dividendo, / fui brevettato per divulgare / multipli d’amore”, salvo
tornare a dipingere i sentimenti usando i colori delle abitudini
sociali: “naufraghi in acque imputridite / dalle ciance altrui. / Grazie
del gentile riscontro”
Talvolta l’Autrice azzarda un’esplicita
dimostrazione intima al lettore: in ‘Inchiostro di pace’ pare svelarsi:
“Rinchiusi nelle celle / del pregiudizio, / muoiono piano / come
all’ospizio, / valori gravidi / di pace e amore”. Ma già in Parlami
Padre (sull’eterna tenzone fra fede e ragione) torna a lasciarlo solo:
“Son prove d’esame / del libero arbitrio / o forse espedienti / di un
demone antico?”.
A ben vedere il pessimismo di Claudia è sì
spontaneo, non è poi così negativo. In ‘Cuore cucito’ si legge: “Odio
l’ignavia, / l’ambiguità latente e la evidente, / odio il silenzio
galeotto / e complice del tornaconto.” Odiare l’ignavia ha come
conseguenza implicita amare l’alacrità e la solerzia.
Alternanze dell’oggi e del passato, con gesti d’un tempo e mode dell’attuale, sono simpaticamente rese in ‘Sui cavi’: “Non più
piccioni
viaggiatori / o serenate al chiaror lunare. / Eppure / nei panni stesi
ad asciugare / si condensa iridescente / voglia di socializzare / per
scongiurare con un bip / la desolazione di silenzi / troppo a lungo
trattenuti.”
Alla fine il lettore attento scoprirà d’essere stato
condotto per mano in un viaggio ‘semplicemente’ difficile, ma
‘incredibilmente’ rigenerante. Si accorgerà d’aver incontrato realtà e
fantasie, aspetti terreni e misteri cosmici, in un caleidoscopio di
emozioni, che pretendono giudizi sull’esistenza, sulle tradizioni, sulle
mode, in sintesi su tutto ciò che ci attornia e che la non comune
capacità lirica di Claudia Piccinno altro non ha fatto che rappresentare
con sapienza e discrezione, incisività e devozione.
Versi da leggere e tornare a leggere per ritrovare se stessi prima ancora di comprendere l’Autrice.
Brunello Gentile
scrittore e promotore culturale
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