martedì 16 gennaio 2018

Nazario Pardini legge Quasi partita di Alberto Mori

recensione di Nazario Pardini pubblicata su Alla volta di Leucade


Camus in esergo (Albert Camus, Il rovescio e il diritto, Bompiani, 1988), il tennis nella sua estensione erotico-fisico-estetica-competitiva, l’uomo, la caducità della vita, il mistero dell’esistere, una quasi partita (decentra lo spazio impossibile/ Non avvantaggia/ Ma appare/ Quasi partita), sono i giochi poetici di Alberto Mori, che con un linguismo nuovo, moderno e personale continua nella sua ricerca innovativa di ascesa contenutistico-simbolica. Una metafora della vita, insomma. Si cerca di studiare le mosse dell’avversario, di abbatterlo, si lanciano tiri potenti, il più possibile filtranti, “siamo tutti chiamati a metterci in gioco” scrive Franco Gallo, il fatto sta che il vuoto sembra assurgere a personaggio invincibile in “questo impalpabile istante che scivola fra le dita come gocce di mercurio”. Quel quasi è ciò che più ci avvicina all’esistere dacché tutto è quasi in questo nostro mondo che ci vede imperfetti; che ci vede estremamente umani destinati a spazi ristretti e a sguardi biechi di fronte ad orizzonti impossibili. E anche a livello artistico quel quasi ci dice un po’ dell’isola che non esiste e verso cui noi dirigiamo la nostra rotta: non raggiungerla ed ambire al suo faro significa contribuire a rendere vivo lo stimolo della creatività; essere in mezzo al mare, e pensarci quasi al traguardo equivale a provare motivazioni ispirative. Qualora si provasse  dentro noi  il convincimento  della fine; l’ultimazione della nostra ricerca, non avremmo più niente da dire; ogni forma di arte sarebbe giunta al capolinea.
Quel quasi che Mori incide con scalpello da lesena nel titolo è un avverbio polivalente, polisemico, che ben si addice alla pluralità della condizione umana.

Nazario Pardini

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