recensione di Teresa Armenti
È davvero inesauribile la vena poetica
di Vincenzo D’Alessio, che ogni anno ci fa vivere, con le sue liriche, nuove
emozioni. Immagine convessa, finalista al concorso Con-giurati, è stata
pubblicata da Fara editori di Rimini; con l’incisiva prefazione dell’editore
Alessandro Ramberti e, in appendice, altre opere dell’autore (Il passo verde; La tristezza del tempo;
Alfabeto per sordi). La raccolta è dedicata a suo figlio Antonio, scomparso
prematuramente nove anni fa. Dalla copertina si staglia, nitida, la foto di
Antonio scattata alcuni mesi prima della sua dipartita al cielo. Con la
maglietta a righe bianche e rosse (la purezza e la passione), il giovane si
lascia dietro le spalle il mare ed avanza verso l’Oltre. Il suo sorriso, che
era stato invidiato dalla luna di Palinuro spiandolo dal promontorio, ora è dimesso,
quasi spento. Il padre spalma il suo dolore lancinante nelle pagine che
trasudano tristezza e solitudine e chiede al dio del vento di riportargli la
voce di suo figlio per un attimo di eterno. Dal vento si lascia trasportare
verso la montagna, dove riesce a respirare un po’ di pace e a trovare il vero Dio.
Sembra proprio di leggere Francesco Petrarca quando scrive “solo e pensoso i più deserti campi vo
misurando”. I campi del nostro autore, però, non sono deserti, ma sono
popolati da fitti boschi di faggi, dal tiglio che profuma di sole, dal
melograno fiorito nell’orto, da castagni, viti, ulivi. Sono abitati da
cinghiali, lupi, volpi, sorvegliati da falchi e dalla pica, che becca la solitudine
della campana rotta. Il Nostro ama la sua terra, ne esplora ogni angolo; ne segue
il ritmo delle stagioni: dal gelo invernale all’urlo della trebbiatrice
all’odore di mosto. Emergono ogni tanto volti segnati dal lavoro, suggestivi
quadretti di vita quotidiana ritratti con rapide pennellate. Profondo è il
legame con la Lucania, con il suo territorio e la sua gente, a cui dedica
alcuni versi intrisi di affetto. Il poeta irpino si rammarica per la sorte dei
giovani che sono costretti ad emigrare e maledice i politici che hanno ridotto
il Sud in terra di miseria, di degrado e di inganni. Egli affida la rabbia alla
luna, depone il dolore sull’acqua e dà sfogo alla sua vena artistica e ritmica
con il blues meridionale al vecchio parroco don Raimondo Russo scomparso nel
2007. D’Alessio trova infine rifugio nei libri, che hanno il profumo degli
amici, nei ricordi d’infanzia “Ripenso le
mani di mia madre viola nell’acqua di fontana” e nell’incontro con il
gruppo fariano a Fonte Avellana. “Oltre
le nuvole del Catria/ il rapace ruba il respiro all’infinito/dov’è la fonte di
Dio”. Il cantore del Sud nel silenzio abbraccia l’immenso e, sulle orme di Rocco
Scotellaro, sogna un’alba nuova.
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