sabato 30 settembre 2017

Il Banchetto di Rosaspina una rappresentazione di Alessandra Gabriela baldoni e Giancarlo Sissa in collaborazione con Memorie dal SottoSuono - Luca Cenacchi

Il Banchetto di Rosaspina è una rappresentazione teatrale che incarna un lavoro interpretativo, filologicamente fondato, sul corpo della fiaba tradizionale della bella addormentata nel bosco. Realizzato in collaborazione con l’ensemble di musica sperimentale Memorie dal SottoSuono, composto da Mario Sboarina e la poetessa Martina Campi, si impone ,sin da subito, come un esperienza totalizzante costruita attorno allo spettatore. Non a caso questo primo atto pare voglia proiettar lo stesso, seduto fisicamente al banchetto, dentro la coscienza stessa della protagonista, Rosaspina, interpretata da Alessandra Gabriela Baldoni, che ha scritto l'intero copione, al fine di rievocare, in filigrana al dialogo tra vari personaggi, l’intreccio favolistico. Il testo si potrebbe definire dunque lirico. Nel suo tessuto vi si riconoscono chiaramente la sintesi interpretativa delle varianti della storia, compresa la poesia della Sexton, e l’incontro della stessa con l’iconografia dei tarocchi.
Lo spettatore, previa breve anticamera, richiamato dal rintocco di una campana tibetana, viene fatto penetrare nel del banchetto. L’intenzione dei teatranti è quella della traduzione, del passaggio di mondo se vogliamo, in cui il pubblico è accompagnato. Ciò rivela l’espediente, in fondo romantico, del passaggio da una realtà ad un'altra, mediante un suono, un preciso orario o la compresenza di entrambi, che proietta il protagonista - nel nostro caso gli osservatori - in un altro tempo e in un altro luogo da quelle in cui si trovava in precedenza.[1]
La Baldoni conferisce in apparenza un'accezione negativa alla dimensione del sogno in cui si sviluppa la maggior parte dell’atto. Per questo si inizia con una traduzione quasi letterale del poemetto della Sexton «immaginate/ una ragazza che non fa che scivolare,/ nello stato di trance dato dall’ipnotizzatore,/ in un mondo fatto di spirito/ inchiodata dentro la macchina del tempo»[2] Ma se la caratteristica precipua del componimento della Statunitense era la fissità dell’incubo, nella versione della Nostra il sogno nasconde anche il percorso che la protagonista deve intraprendere per forzarne i limiti. Questo cammino sarà accompagnato dalla presenza di tre figure simboliche[3], che ho assimilato a prosopopee della coscienza stessa di Rosaspina. L’anima, interpretata da Giancarlo Sissa, Lo Spirito del Profondo, interpretato da Mario Sboarina e, infine, lo Spirito di Questo Tempo interpretato da Martina Campi. L’atto si divide in monologhi narratologici e altri caratterizzati da un apertura del linguaggio e della sintassi, che viene contratta notevolmente, a un misticismo la cui resa maggiore si ha nel monologo dell’anima che conclude l’atto e nei moniti dei tarocchi in possesso ai vari personaggi. Credo si possa affermare che la Baldoni insceni , prima di tutto, la caduta di Rosaspina da uno stato di grazia astratto per proiettarla nella vita definita come un farmaco amaro somministrato dallo spirito del profondo «la piccolezza e la quotidianità come un farmaco d’immortalità». I ricordi di un’infanzia immobile portano successivamente Rosaspina a un desiderio d’oblio: essa accetta la sua maledizione, quella dell’arcolaio, come esito ultimo del percorso. Rosaspina è caduta dal suo stato astratto di personaggio e pare abbia ricevuto quasi un battesimo di mortalità. Questo porterà a un cammino di auto liberazione mediante il ricongiungimento o, meglio, l’accoglimento del personaggio-anima. In conclusione questo primo e promettente atto mette in tavola una complessità di fattori, letterari e non, impossibile da estrinsecare completamente nello spazio angusto di un articolo. Tuttavia quello che mi preme sottolineare in questa sede è quella tensione decostruttiva su cui la Baldoni sembra essersi concentrata. L’autrice sembra sfrondare la protagonista al fine di ridurla a una elementarità (umana?) che le permetta di ricongiungersi con l’anima stessa. Difatti « il passaggio è un vuoto di grande pienezza» riecheggia lontanamente, da una parte, le teorie taoiste della consecutio vuoto-pieno come caratteri costituenti del mondo e, forse, come ricerca di elementarità, ovvero quella riduzione di sovrastrutture, propugnata anche dalla scuola di Kyoto. Questa caratteristica è ricercata al fine di forzare i limiti immobili del sogno-trappola ereditati dalla Sexton.

In conclusione Il banchetto di Rosaspina è una coinvolgente interpretazione resa con perizia anche dal punto di vista performativo. La Baldoni e i vari componenti dell’ensemble portano in campo la totalità della loro esperienza, dalla fabbricazione degli elementi scenografici alla mera interpretazione del testo, facendo di Rosaspina un’esperienza che riesce ad attrarre e affascinare lo spettatore.

                                                                                                                       © Luca Cenacchi





[1] Mi riferisco ovviamente ad espedienti simili a quelli di Theophile Gautier nel racconto Arria Marcella
[2] Anne Sexton, the sleeping beauty «Consider/a girl who keeps slipping off, arms limp as old carrots,/into the hypnotist's trance,/into a spirit world/speaking with the gift of tongues./She is stuck in the time machine[…]»
[3] Tripartizione, invero, fondata sulla lettura de il Libro Rosso di Jung

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