Vera Lúcia de Oliveira, Ditelo a mia madre (Poesie) FaraEditore, Rimini 2017 (pp. 74)
recensione di Gianni Criveller
Un dono prezioso, un’opera che commuove profondamento, e non lascia indifferenti. Presentate in un’edizione curata con eleganza, le poesie di Vera Lucia sono colme di empatia. Edith Stein, la filosofa, martire e santa che ha dedicato la sua giovane vita allo studio dell’empatia, la descrive come l’atto che ci permette di cogliere “l’esperienza vitale degli altri”. Il termine “empatia”, significava, originariamente, “andare a tentoni”; un movimento che avrebbe permesso, poi, di cogliere le impressioni dell’animo. La poeta, entrando come a tentoni dentro una vicenda dolorosissima, complicata da una risonanza politica enorme, dà voce a Giulio Regeni grazie proprio all’empatia. Empatia verso il povero ragazzo, torturato e ucciso, e empatia verso sua madre.
Il tema del dolore e del male è espresso in tutta la sua drammaticità, senza sconto. Un dolore enorme, quello di Giulio, che impone silenzio.
“Le ore non fanno rumore / ti passano addosso con lancette a forma di aghi / che entrano e si ficcano in ogni poro / senti dentro che il cuore precipita / senti dentro che si rompono i capillari / ma fuori tutto è silenzio / tutto è silenzio.” (45)
Non rimarrà senza conseguenza il male: chi ha ucciso un innocente non potrà più liberarsi di lui:
“verrò con voi a dormire / mangerò con voi / rimarrò con voi / persino nel vostro / momento / di morire.” (18)
Giulio è vivo, o meglio continua a vivere:
“ditelo a mia madre / che volo con le ali / che lei mi ha fabbricato / quando non ero / neppure / nato.” (36)
La poesia di Vera Lúcia contiene immagini forti, suggestive ed efficaci. Come quella del corpo trasformato in libro. Un libro di parole spaccate dal dolore:
“ora il libro è il mio corpo / girano le pagine che mi strappano di dosso / le parole si spaccano per terra.” (53)
Ho tre amici che sono stati sequestrati, in momenti diversi, da Abu Sayyaf. Sono sopravvissuti costruendo un castello interiore, a cui i sequestratori non avevano accesso. È esattamente quello che la poeta descrive, immaginando le ultime ore dell’agonia Giulio:
“Sputate su di me / per farmi sentire il nulla / ma ho costruito un muro / che non potete varcare / in esso cammino con / le zampe felpate / dei gatti / in un luogo di luce / a voi precluso.” (31)
Il ragazzo è una creatura nuova:
“Tutto è luce tutto è di nuovo nato per me / che ora posso partire senza paura.” (51)
La poeta è una donna di fede, e immagina Giulio che abita il cielo (29). La via del dolore lo conduce a Dio:
“dentro mi porto / una scala segreta / che mi riconduce a Dio.” (36)
La forza, la ragione di vita di Giulio è la sua grande empatia, nella quale la poeta si riconosce:
“come posso dirvi / che sono nato dall’amore / per ogni creatura del mondo? / come posso dirvi / che tutte le lingue che ho imparato / mi sono servite sempre / per carpire l’anima / di tutto?” (16).
Etty Hillesum scrisse, dal campo di concentramento di Westerbork, che solo un poeta può descrivere cosa vi succede. Solo un poeta può permettersi di scrivere sul dolore. Solo un poeta poteva osare di addentrarsi, per quanto a tentoni, nella vicenda di Giulio Regeni, sottraendola alla polemica politica – non ancora conclusa – e riconducendola alla sua realtà. La realtà di un ragazzo buono, generoso e coraggioso. Un ragazzo mosso da una grande empatia per il mondo.
“Dentro ho solo lo spazio / che ho sempre lasciato / agli altri / affinché mi abitassero.” (22)
Vera Lúcia si relaziona, da donna e da poeta, alla madre di Giulio. Il pensiero del dolore della madre attraversa empaticamente tutte le poesie. La poesia e l’empatia le offrono parole davvero belle, commoventi, che donano un raggio di luce e di amore sulla morte e la vita di Giulio Regeni.
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