nota di lettura di Giovanna Menegus
Molti mi dicono: come puoi pensare ai fiori, di questi tempi? (Etty Hillesum)
Non riesce ad accudire i fiori
al suo angolo di cucina
spazio per le terracotte
tra il presto detto e i morti tardivi.
Li sostituisce con languori di
cani a dondolo e ali di vetro
sospese a un rito. E le poche stelle.
Non più in alto di un grido, non riesce
ad accudire le stelle.
Antonio Pibiri, Chiaro di terra, L’Arcolaio 2016
La poesia di Antonio Pibiri tende a proporsi per elementi franti e di non immediata penetrazione, passaggi taciuti (visionari, onirici) e riferimenti talora criptici.
Nel caso di questi versi, la chiave e la luce le offrono le parole di Etty Hillesum poste dall’autore in esergo. Sono – credo – versi tragici: una sommessa confessione o constatazione di impotenza esistenziale. I fiori sono le creature, il creato. La bellezza. E non accuditi salgono verso l’alto – come il grido umano, insieme ad esso –, diventano stelle.
Molti mi dicono: come puoi pensare ai fiori, di questi tempi? (Etty Hillesum)
Non riesce ad accudire i fiori
al suo angolo di cucina
spazio per le terracotte
tra il presto detto e i morti tardivi.
Li sostituisce con languori di
cani a dondolo e ali di vetro
sospese a un rito. E le poche stelle.
Non più in alto di un grido, non riesce
ad accudire le stelle.
Antonio Pibiri, Chiaro di terra, L’Arcolaio 2016
La poesia di Antonio Pibiri tende a proporsi per elementi franti e di non immediata penetrazione, passaggi taciuti (visionari, onirici) e riferimenti talora criptici.
Nel caso di questi versi, la chiave e la luce le offrono le parole di Etty Hillesum poste dall’autore in esergo. Sono – credo – versi tragici: una sommessa confessione o constatazione di impotenza esistenziale. I fiori sono le creature, il creato. La bellezza. E non accuditi salgono verso l’alto – come il grido umano, insieme ad esso –, diventano stelle.
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