recensione di Maria Grazia Maiorino
Ad apertura di libro ho subito l’impressione di
riprendere il filo e di riconoscere la voce di Germana, a partire dall’esergo
scelto come inizio, le parole di Elena Bono, scrittrice e poetessa di profonde
tensioni religiose – “C’è una strada per ognuno. Dove ci porti, quale sia la
vera è presto per saperlo”– che riecheggiano l’idea di un tempo diverso da
quello in cui siamo immersi, la possibilità di estrarre dal presente una
consapevolezza biblica, creaturale, della quale spesso ci dimentichiamo. Tempo
e spazio egualmente si allargano se abbiamo un atteggiamento di lentezza,
affidamento, attesa, speranza in un disegno che trascende la nostra fragilità. “Un
fil di fiato” è la vita, “iI passatempo misterioso”: questa espressione si
potrebbe leggere come un ossimoro, in cui l’aggettivo riverbera la sua ombra
sul nome, alleggerendo con un velo di ironia la chiusa della seconda poesia (Un filo, p. 11) e uno dei leitmotiv cari
all’autrice: l’invito a lasciar scorrere le vicende del nostro vivere, e a lasciarsene
sorprendere. Farsi trasportare dall’immaginazione, da quella eterna Melusina
che continua ad abitare i nostri cuori, fata, sirena, ondina, creatura anfibia
incerta tra mondi e desiderosa di metamorfosi, solo all’apparenza addomesticata
e sempre pronta al volo della mente. Ma senza strafare, perché qui scrittura fa
rima con misura anche in quanto la poesia è disegnata nella trama degli affetti
familiari: sfida quanto mai femminile e ardua, quasi un corrispettivo della
responsabilità di tutti, e in particolare della cura affidata a noi donne,
verso la grande famiglia del mondo.
Il racconto lirico, composto in due tavole nella
raccolta precedente, Gli angoli della terra, in questa è tripartito: racconto trinitario che traccia un cammino
in cui i dettagli della materialità tendono verso lo spirito delle presenze
invisibili e della preghiera, ma i due fili sono continuamente intrecciati,
anche nello stile, negli enjambement che di frequente allacciano i versi, nella
punteggiatura precisa, nell’uso di parole antiche da custodire e preservare, -
greppata, covacci, pilotto, casciotta, staccia, spaglio, luglia, fratte, – suggestioni
di un mondo “a parte” che non deve
scomparire.
Come preannunciato fin dall’inizio, Melusina
attende senza pretendere e, consapevole della vita donata, lascia entrare il
mondo con le sue tribolazioni, accogliendo le gioie familiari, il passaggio di
testimone, la felicità dei giochi, il gusto dei cibi genuini, la sapienza dei
mesi che con il loro tempo ciclico rassicurano in mezzo agli sconvolgimenti
portati dalla storia presente. Senza mai perdere, per chi lo sa interrogare,
quel misterioso volto simbolico che la natura offre agli uomini da sempre: ecco
perché il paesaggio continua a essere così importante e così bene dipinto nei
libri di Germana, costellati di stampe dai toni lievi, acquerelli delle
lontananze sfumate verso invisibili orizzonti marini: “… Altari di lontananze
sopra orti // sassosi, domestici ponti e guadi. / Scivola invisibile la voce /
del torrente verso un qualche mare. // Da crinale a crinale, trasparenze /
increate, incanto di velature. / Paesaggio, bene impalpabile” (p. 45).
E la città della bellezza vissuta da vicino, piena
di anima e di un suo incantesimo icastico, come balzasse fuori dalle pagine
delle Mille e una notte rivisitate: “…
In mezzo alle nubi appare Urbino / piatto colmo di terra e pinnacoli / solcato
in mezzo a Valbona // Sotto la cupola rigonfia / del Duomo e i campanili, / la
crosta di tegole vive per sé, // ignara della vertigine del Palazzo, / in
questo ottobre che altre intensità / innalza da zolle ansiose di semine” (p. 54).
Quando finisce la poesia inizia la preghiera, elevata
nell’ultimo mese dell’anno, nel cuore di tutti i bambini del mondo, nido di
paure e di speranza, e poi in quello dei più bei canti innalzati a Dio nella
Bibbia e rinnovati quotidianamente nella liturgia. La chiusa della raccolta è
dunque un Salmo di benedizione, un canto francescano dall’interno del nostro
mondo attuale, tempo di passaggio in cui la nostra generazione stenta a vedere
nuovi armoniosi sviluppi, ma confida in un progetto più grande del quale non
siamo gli artefici se non in piccolissima parte. “Lode all’abbondanza di
sponde, / che isole e continenti lega a sbarchi / di popoli controcorrente” (p.
58). E questa piccola parte, questo richiamo al bene, alla parola attenta,
alla creatività partecipe, è ciò che viene sintetizzato nell’ultima strofa con
la bellissima espressione di carità liberata: “Carità liberata, preziosa più di
ogni energia / raggio e cerchio all’infinito, suono / di catene spezzate, Spirito
della Terra Promessa.”
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