venerdì 21 aprile 2017

La sfera e lo specchio: la forza misteriosa che attraversa i confini della vita

Giovanna Iorio: La neve è altrove, Fara 2017


recensione di Vincenzo D’Alessio

 


http://www.faraeditore.it/html/filoversi/nevealtrove.html

La raccolta di poesie che ho aperto e ho letto è simile ad un carillon: il coperchio rivela uno specchio e all’interno una sfera gira su sé stessa al suono di un coro. Questa è la similitudine che vorrei utilizzare per descrivere i versi dell’autrice, Giovanna Iorio, del libro La neve è altrove (Fara 2017). 


Lo specchio è l’altrove. La sfera nasconde un paesaggio sotto la neve. Il coro sono le voci dei traduttori dei testi poetici: Charlie Hann (in lingua inglese); Zingonia Zingone (in lingua spagnola); Anna Jolanta Łagoda (in lingua polacca); Grazia Calanna (in lingua francese); Anna Maria Curci (in lingua tedesca) e Anna Tumanova (in lingua russa).
Partorita in un momento doloroso, la dipartita del padre, la raccolta di poesie è dotata di una misteriosa forza palingenetica: “(…) e tu te ne andavi ad occhi chiusi / e io ti venivo dietro come una foglia / l’albero il tronco la cassa la casa il vuoto / svaniva il giorno e il tuo calore / sul letto trascorre l’ombra delle ore.” (pag. 39). La Natura si incrocia con le cose e il fine vita.
Le mani sono richiamate metonimicamente in tutte le poesie ad operare sulle cose che restano: l’albero, il tronco, la cassa, la casa. Diventano l’attività calda del fare, impastare il pane, accendere il fuoco, bollire l’acqua per il the, crescere i figli, accudire alla scrittura, seppellire i morti.
Le mani sono le radici nella valle dell’infanzia, nella genesi degli affetti che scompaiono nel vuoto: il padre è la discendenza che rimane nel “rosso” del sangue, nella similitudine con il rame caldo delle pentole da cucina a contatto con il fuoco: il calore che è scomparso sul letto di morte, nelle ombre.
Benedette mani che tessono il filo dal colore bianco nei versi che, se non desiderano l’eternità, la realizzano. È la vocazione della Poesia matura, innestata in quel “regalo” di cui parla con forte energia Marco Sonzogni nella introduzione a questa raccolta.
 

Lo specchio è l’altrove: riflette la sfera di cristallo dove si agitano i luoghi, gli animali, le paure, le vicende umane, sotto il lento silenzio dei fiocchi di neve che ovattano le distanze e ci immerge di fronte all’antico patto: “ C’è ancora tra la voce e il vento un vecchio / patto: sollevare ciò che è caduto.” (pag. 24).
Ciò che cade non si rialza da solo. Ha bisogno di mani amorevoli che lo sollevino dalla coperta di neve che lo ricopre per riportarlo alla luce del giorno. Un patto che solo in pochi sanno ascoltare e portare al compimento. La Nostra realizza questo patto come fiume sotterraneo che tenta la strada verso il mare: “Il sonno solleva il tempo dalle mie spalle / scompare nella notte una valle / le case tornano lievi / come farfalle.” (pag. 34).
Quanta bellezza in questi versi. Quanta poesia scagliata verso il silenzio del freddo inverno eterno, della dimenticanza, dell’oblio.

Giovanna Iorio è figlia di una terra antica di memorie, di tradizioni, di generosa accoglienza. Conosce il lascito degli anziani, il calore del focolare, il gesto favoloso dell’impastare il pane in casa: unire la famiglia come gli acini di un melograno.
Le volpi, animali padroni delle terre arate dagli uomini, tornano miticamente a segnare il logo contadino dell’isola irpina dove è nata (si veda per somiglianze il film: La volpe e la bambina di Luc Jacquet). L’astuzia, l’intraprendenza, quasi simile al genitore che è scomparso e che ha saputo costruire e proteggere la sua famiglia.
Molte sono le immagini che trapassano il vetro della sfera e si riflettono sullo specchio del fondo: nell’altrove.
L’Io dell’autrice percorre la maggior parte delle poesie e si innesta in un felice connubio con Madre Natura: ricorda molto le opere del poeta tedesco Friedrich Hölderlin, specialmente nella ricerca della bellezza nel movimento come in questi versi: “Sono soli perfino gli alberi / nei boschi in un giorno senza vento.” (p. 30).

Giovanna Iorio ha oltrepassato la poesia del Novecento avventurandosi nella sperimentazione delle voci antesignane dotate dell’equilibrio armonico raggiunto grazie anche alla frequentazione e traduzione dei versi di poeti europei.
Vorrei richiamare ancora una volta le parole di Marco Sonzogni, che introducono la raccolta della Nostra, a completare questo carillon prima di richiuderlo: “(…) In questa silloge, leggera e densa come solo la neve lo è, pensieri e immagini fioccano sulla pagina dando corpo a una bianca filigrana che lega alla vita in tutte le sue manifestazioni: anche, forse soprattutto, quelle precarie o addirittura terminali” (p. 7).
Dall’Irpinia, 20 aprile 2017

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